Non è stato affatto un buongiorno ieri a Sydney: Riot Games ha infatti annunciato tramite l’account Twitter della sezione oceanica la dissoluzione della Oceanic Pro League, il massimo campionato di League of Legends della regione che comprende in particolare i “pezzi grossi” Australia e Nuova Zelanda. Un annuncio in realtà atteso di cui già lo scorso anno si vociferava negli ambienti più vicini a Riot Games: una lega con enormi difficoltà in termini di sostenibilità nel lungo periodo, confinata in una regiona geograficamente isolata e lontana dalle altre. Le opportunità di crescita erano e sono realmente poche eppure è proprio in questi ultimi anni che la qualità delle squadre e dei giocatori è migliorata ampiamente.
Ai Worlds2020 attualmente in corso la rappresentativa oceanica dei Legacy Esports, targati Razer, è arrivata a una sola serie dall’accesso alla fase a gironi della competizione, il risultato più alto mai raggiunto. I giocatori migliori hanno iniziato a esplorare nuovi lidi, trasferendosi chi in Europa, come Destiny che ha disputato parte della stagione LEC con gli Origen, e chi in Nord America, grazie in particolare all’apertura dell’LCS ai giocatori oceanici non più considerati come “stranieri” nelle Academy. A quest’ultimo passo dal 2021 se ne aggiungerà uno ulteriore: i giocatori residenti nell’OPL saranno ammessi anche nell’LCS come local player, permettendo loro di avere uno sbocco professionale al di là dell’Oceano Pacifico. Un trasferimento reso più semplice anche a livello comunicativo con la stessa identica lingua utilizzata.
“Rimaniamo concentrati nel supportare i nostri giocatori professionsti nella regione con un percorso che possa consentirgli di proseguire le loro carriere. Per la stagione 2021 abbiamo deciso di aggiungere la regione Oceania alla scena competitiva dell’LCS in modo che i giocatori non saranno più considerati import nei roster LCS. Una decisione che aprirà nuove opportunità sia per i giocatori oceanici che per le squadre nordamericane.”
Malte Wagener, Managing Director of North America & Oceania, e Tom Martell, Global Esports Director
Oltre alla chiusura del campionato Riot Games ha annunciato che agli eventi internazionali saranno ugualmente realizzati dei tornei di qualificazione per la regione oceanica per permettere ad Australia e Nuova Zelanda di avere una propria rappresentante. L’aspetto più drammatico di questa vicenda riguarda però tutte le figure professionali che rimarranno evidentemente appiedate: dai caster alla production, dai tecnici a tutto l’indotto competente che consentiva di realizzare un prodotto televisivo di eccellenza. Riot Games ha infatti deciso di chiudere contestualmente anche i propri uffici a Sydney, senza tuttavia comunicare se gli attuali impiegati siano stati licenziati o saranno trasferiti in altri uffici.