C’è un posto, negli Stati Uniti, dove i dipendenti partecipano a diversi match, simili alle partite aziendali di softball, o calcetto se vogliamo fare un paragone con l’Italia, in cui però i protagonisti sono i videogiochi. Non è difficile sentire frasi del tipo “Amazon lancia un assalto Zerg su Facebook”, oppure “Microsoft si schianta contro Capital One con una perfetta ultimate di D.Va”. Un normalissimo giorno nella CEA, Corporate Esports Association, un organizzazione che permette ai dipendenti delle varie aziende di sfidarsi su vari titoli competitivi rappresentando la propria azienda, esattame come fanno i giocatori professionisti con la propria squadra.
A raccontare questa interessante e forse ancora troppo atipica realtà è Gregory Leporati sul Washington Post. “Immagina giocare a League of Legends, Valorant o Overwatch con i tuoi colleghi di lavoro”, ha raccontato Brad Tenenholtz, co-fondatore di CEA, a Leporati. “Sei costretto a comunicare in modo perfetto con i tuoi colleghi, o sarai abbandonato lasciato indietro.” La CEA ospita diversi tornei esports di durata anche stagionale, mettendo di fronte impiegati di diverse aziende. Per Tenenhotlz è una delle milgiori strade per migliorare il team building nelle grandi realtà aziendali: invece di test della personalità o del classico gioco della fiducia, i colleghi di lavoro costruiscono legami e connessioni grazie a titoli come League of Legends o Rocket League.
Inutile dire che con il Covid-19, e con sempre più impiegati invitati a lavorare da casa in smart-working, la CEA ha avuto un enorme successo nel 2020 con più di 150 diverse aziende che hanno preso parte ai tornei. Inclusi colossi come Walmart, IBM, General Motors e Amazon: “Sempre più aziende stanno comprendendo che il gaming competitivo è un’attività con un serio e prolifico valore aggiunto”, continua a raccontare Tenenholtz. Ma in che modo gli esports possono avere un impatto positivo sulla produttività e sulla sinergia lavorativa?
Michael Flores è il responsabile client technical presso IBM. Ma è anche colui che gestisce la community di videogiocatori interna all’azienda. Per lui l’impatto principale degli esports è molto semplice: mostra come funziona il rapporto tra colleghi nel costesto di squadra. “Se una partita su League of Legends non va nel migliore dei modi, inizierai subito a pensare sia a cosa i tuoi compagni hanno sbagliato sia a cosa tu avresti potuto fare meglio. Molti dei miei colleghi non hanno compreso immediatamente questo aspetto, ma col tempo hanno iniziato a chiedersi: ‘Come posso contribuire a migliorare gli altri invece di pensare sempre a me?’ Così hanno iniziato ad apprezzare le abilità individuali di ognuno e a immaginare come massimizzarle per il bene di tutti.”
Flores ha fondato il gruppo esports aziendale sette anni fa, con l’obiettivo di conoscere nuovi colleghi e di esplorare le connessioni tra il mondo del gaming e del lavoro. IBM ha offerto un po’ di resistenza inizialmente, ma oggi la community aziendale vanta più di 500 membri. E competere è diventato anche un modo per introdursi più facilmente nelle dinamiche aziendali, come accaduto a Alex Mieczkowski, junior software engineer che ha iniziato a lavorare in IBM poco prima dello scoppio della pandemia: “In particolare durante il Covid l’esports mi ha aiutato a mantenere legami e a costruire nuove amicizie.” Nonostante lavori dalla North Carolina, Alex ha oggi una grande amicizia con un collega in Ontario, in Canada, grazie alla loro presenza insieme nel team di Valorant di IBM: “Ormai parliamo praticamente ogni giorno: non sarebbe mai potuto accadere senza la gaming community.”
Stesso discorso per Joshua Rowell, product manager di Walmart e responsabile del gruppo esports aziendale. “Ho visto persone impiegare più di 30 minuti per realizzare una mail di lavoro. Eppure quando ti trovi su Overwatch o League of Legends non hai il tempo di fermati a pensare. È anche in questo modo che l’esports insegna a essere cordiali e rispettosi ma concisi.” Rowell ha creato la sezione esports di Walmart cinque anni fa, grazie anche al supporto del CIO dell’azienda. Oggi conta più di 700 membri sparsi tra la sede principale e i vari punti di distribuzione.
Oltre che per la comunicazione personale, secondo Rowell gli esports sono utili anche per identificare potenziali manager e scovare le quialità di leadership, o altre soft skills, nei propri impiegati. Magari anche quando nemmeno loro stessi pensano di averle. La stessa Rowell ha suggerito le promozioni di alcuni dipendenti dopo aver osservato le loro prestazioni in qualità di capitani dei vari team esports. “Tali invididui sono fenomenali nell’indirizzare le persone nel gioco, ma non hanno mai pensato di applicare gli stessi principi sul lavoro. Il nostro lavoro è anche mostrare loro come trasferire queste abilità nel quotidiano.”
Le aziende sono favorevoli, gli impiegati si divertono e al tempo stesso crescono professionalmente. Ma la domanda finale che Leporati si pone è: si tratta di una moda o durerà nel tempo? La risposta arriva da Edward Sullivan, CEO di Velocity Group, azienda che accoglie al suo interno importanti coach sui più svariati ambiti, e che vanta come clienti compagnie come Salesforce, Google e Slack: “Non vedo gli esports o altre forme di team building digitale come una moda passeggera. Tuttavia credo che per raggiungere risultati ancora migliori sia necessario preferire forme di interazione più ricche. C’è qualcosa di più quando si cammina, si usano le proprie mani: un differente tipo di energia che pervade il proprio corpo.”
Secondo Denise Rousseau, professore di comportamenti organizzativi alla Carnegie Mellon University, la questione è invece diversa: non tanto se gli esports possono essere utilizzati per migliorare il team building quanto come usarli correttamente. “In questo momento le compagnie utilizzano gli esports per promuovere la sinergia e la coesione di gruppo, che è un obiettivo sì superficiale ma da non sottovalutare. Ci sono numerose ricerche che affermano, d’altronde, che non è l’esercizio in sé rilevante, quanto le riflessioni che ne scaturiscono successivamente.”
In definitiva se le aziende vogliono che le persone pensino e agiscano diversamente, la riflessione è la parte più critica e importante. Vincere o competere non è sufficiente per arrivare al risultato più efficiente: ogni partita deve essere uno strumento per analizzare sé stesso e gli altri, riflettere sugli errori e su come alcune azioni potevano essere gestite meglio.