Indie Games: l’Italia è una fucina di talenti creativi

“Indie”: è questo il termine utilizzato per classificare i giochi sviluppati da un singolo o da un piccolo gruppo di persone che non dipendono da una grande software house.

Tra il 2008 e il 2010, grazie all’evoluzione delle piattaforme per la distribuzione digitale e degli strumenti di sviluppo, alcuni videogiochi indipendenti sono diventati veri e propri successi commerciali. Tra gli altri si ricordano: “Amnesia: The Dark Descent”, “Braid”, “World of Goo” e “Minecraft”. E ora anche Google Stadia guarda agli indie, con il suo “Makers Program”, che accoglie tutti gli sviluppatori indipendenti desiderosi di creare nuove esperienze per la console cloud di Google. Un genere, quello indie, che può vantare una fucina di talenti tutta italiana, il cui valore è riconosciuto anche all’estero. Ne abbiamo parlato con Giorgio Catania, developer relations manager di IIDEA, l’associazione dell’industria dei videogiochi in Italia.

Anche quest’anno alla Milan Games Week avete allestito uno spazio, “Indie dungeon”, dedicato agli sviluppatori indie italiani. Quali studi avete scelto e perché?

L’area “Indie dungeon” è un’area in cui finalmente abbiamo visto di nuovo gli sviluppatori presentare al pubblico i propri titoli. Quest’anno abbiamo avuto 18 studi di sviluppo che hanno presentato altrettanti progetti. Sono progetti di ogni tipo: dai platform, alle esperienze visive, ai giochi narrativi, fino ad arrivare addirittura a un prodotto pensato per i ciechi o comunque per persone con disabilità visive. Sono progetti che abbiamo selezionato nel tentativo di dare un’idea di quanto sia ampia e vasta l’industria dei videogiochi in Italia. Sebbene sia un po’ indietro rispetto a Paesi come UK, Francia e Germania, è un’industria che sta crescendo e oggi conta più di 160 studi di sviluppo dislocati in tutto il Paese.

Ci racconti qualcuno dei titoli che sono stati presentati sul palco della Milan Games Week?

Certamente. Abbiamo avuto “The darkest tales” di Trinity Team, lo stesso studio di sviluppo che ha realizzato “Slaps and beans”, il videogioco di Bud Spencer e Terence Hill, e che da poco ha chiuso la campagna Kickstarter di “Slap and beans 2” con grande successo. Questo videogioco ha per protagonista un orsetto di peluche che deve salvare la propria padroncina, affrontando le creature delle fiabe in una chiave più dark. Un altro è “Novis games”, che ha presentato la sua piattaforma contenente diversi titoli fruibili da chi è cieco o da chi comunque ha problemi di vista. Quindi sono prodotti che possono essere utilizzati servendosi soprattutto dell’audio. Un altro team che ha presentato le sue avventure narrative alla Milan Games Week è stato “SolEtude”, che quest’anno ha vinto agli Italian videogames awards come “Best Italian debut game”.

Qual è l’apporto dato dagli sviluppatori indie all’industria e al mercato video-ludico italiano in termini di fatturato?

Il fatturato è ancora abbastanza ridotto rispetto ai numeri generali che il mercato fa girare. Diciamo che è un’industria estremamente giovane, che sta crescendo e che ha un enorme potenziale. Quindi i veri traguardi si raggiungeranno probabilmente tra qualche anno. Però vorrei far notare che già diversi studi italiani sono stati acquisiti per cifre molto importanti da investitori internazionali, vedasi Milestone, Destinybit, Rortos. Questo dimostra che l’attenzione per gli sviluppatori italiani c’è, non solo in Italia, ma anche all’estero, anzi soprattutto all’estero. E l’associazione sta facendo il possibile per dare visibilità ai prodotti made in Italy.

Com’è vista la scena italiana indie all’estero?

Lo sviluppatore italiano è visto come uno sviluppatore molto creativo. L’Italia è famosa in ambito creativo per moda, design, automobili, cibo e questa creatività si sta riflettendo anche nell’industria dei videogiochi. Le produzioni ancora sono di dimensioni ridotte rispetto a quelle dei Paesi stranieri, però le ambizioni sono tante. Ci sono titoli che stanno iniziando a far parlare molto di sé a livello internazionale. Recentemente è stato annunciato “Soulstice” da Reply Game Studios, “Batora: Lost Haven” da Stormind Games, “Martha is dead” da LKA. C’è Kunos Simulazioni con “Assetto Corsa” che fa parlare molto di sé, “Mario + Rabbids Kingdom Battle” e “Sparks of Hope” di Ubisoft Milan che, sebbene sia uno studio facente capo a Ubisoft, è formato da un team italiano, con Davide Soliani come creative director. Quindi ci sono tanti esempi di videogiochi italiani che stanno alzando sempre di più l’asticella delle produzioni tricolore.

Quali sono i problemi principali che deve affrontare chi sceglie la strada dello sviluppo indipendente?

Naturalmente è una strada irta di ostacoli. Quando uno sviluppatore inizia questo percorso deve sapere che dovrà trovare forme di finanziamento, budget. Molti studi di sviluppo si autofinanziano, realizzando prodotti B2B per poi sviluppare, autofinanziare prodotti B2C, quindi rivolti al grande mercato. Sebbene ci sia tantissima creatività in Italia, manca un po’ lo spirito imprenditoriale, perché la creatività ha la meglio. Per questo l’associazione sta collaborando con la regione Lazio e la regione Emilia-Romagna per lanciare due acceleratori gaming: “Cinecittà Game Hub”, che si terrà a Cinecittà Studios e “Bologna Game Farm”, che avrà luogo alle serre dei Giardini Margherita. Due acceleratori gaming che servono per dare una spinta agli studi di sviluppo, alle start up di videogiochi più giovani, in modo che poi possano arrivare sul mercato con progetti, prototipi strutturati, solidi, e cercare di trovare investitori oppure distributori.

C’è la possibilità che qualche studio indie produca titoli destinati al circuito competitivo degli esports?

Sì, ci sono ad esempio Milestone e Kunos Simulazioni con i titoli racing, Strelka Games con “Circle of Sumo”, un titolo indie molto contenuto nelle dimensioni, ma che ha già una sua community. Ci sono videogiochi indie pensati anche per il multiplayer competitivo. Le possibilità ci sono, le idee ci sono, si tratta solamente di riuscire ad applicarle al meglio e di far parlare di sé. Le community si creano mattone dopo mattone: considerando che molti progetti sono più piccolini ci vorrà un po’ di tempo, però le prospettive ci sono. Basta avere solo un po’ di pazienza.

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