Uno dei migliori talenti di Overwatch ha deciso di lanciarsi su League of Legends, mirando a conquistare un posto nella scena competitiva.
Nel momento in cui la beta di Overwatch 2 sembra ridare anche una flebile speranza di ritorno mediatico, almeno in Europa, per il titolo Blizzard, c’è anche chi già da tempo ha deciso di abbandonarne la scena competitiva nonostante ne sia stato uno dei più importanti rappresentanti per l’Italia. Parliamo di Lorenzo “Midna” Nulli, giocatore competitivo di Overwatch a cavallo tra il 2017 e il 2019, primo italiano ad approdare agli Overwatch Contenders, la serie immediatamente inferiore alla Overwatch League che ne rappresenta invece la cima della scena competitiva, nonché giocatore della nazionale italiana nella Overwatch World Cup e protagonista della prima storica vittoria dell’Italia nella competizione contro la Polonia.
Oggi, 23 anni, un lungo passato di successi su Overwatch, tra lo streaming di un videogioco e di un altro, sembra aver trovato una nuova passione competitiva: League of Legends. Ci siamo fatti raccontare perché proprio dal diretto interessato in una lunga intervista realizzata per comprendere cosa spinge un giocatore a “cambiare lido”. Partendo da una domanda semplice: da dove arriva il nickname Midna?
Arriva da Zelda, è la mia saga preferita e in particolare dal capitolo Ocarina of Time. È stato il primo vero gioco a cui mi sono appassionato. E poi Midna può anche essere inteso come una contrazione per Midnight, “mezzanotte”. Insomma, un nickname che rimanda a un mio ricordo personale ma che è anche originale.
L’esperienza su Overwatch
Un passato su Overwatch, ruolo principale tank, il primo italiano ad approdare agli Overwatch Contenders: cosa ti ricordi di quelli anni?
Il primo ed emozionante ricordo che ho è la Lan dal vivo giocata all’Esports Cathedral di Esl in occasione del Lucca Comics & Games. Non voglio essere malinconico ma ogni volta che ci penso mi fa tornare in mente delle sensazioni uniche, date sia dalla bellezza di giocare dal vivo, era una della mie prime vere lan, che dal farlo in un contesto come la chiesa sconsacrata dell’Auditorium San Romano del capoluogo toscano.
Perché avevi iniziato a giocare a Overwatch? Cosa ti aveva colpito di più?
In realtà la mia avventura nei videogiochi multiplayer parte da molto prima con Dota 2. Avevo circa 12-13 anni, guardai quasi per caso il The International, il mondiale, e mi appassionai immediatamente a quel titolo Moba. Qualche anno dopo arrivò Overwatch e mi ritrovai nuovamente colpito e coinvolto da una passione, seppure appartenente a un genere diverso, anche se non troppo. Decidere di approcciarmi al competitivo però non è mai stata una decisione presa a tavolino. Nel mio caso, e credo che in generale sia il modo migliore per chiunque, è arrivato quasi da sé: semplicemente perché si gioca talmente tanto a un gioco e lo si fa con passione che decidere di competere diventa il passo successivo naturale. Per me entrare nella scena competitiva non è mai stato il mio obiettivo iniziale, è arrivato solo dopo quando mi sono reso conto che stavo migliorando giorno dopo giorno.
Quando avevi capito che potevi investire tutto te stesso nel professionismo dell’esports?
In particolare quando mi sono accorto che giocavo e competevo senza fatica, anche se non in senso stretto. Ci sono sicuramente sacrifici da fare, tante ore da investire, la stanchezza esiste, ci mancherebbe. Il “senza fatica” è da intendere come un “senza rimorsi”: il fatto di investire tempo e risorse era per me naturale e fisiologico perché non stavo perdendo tempo, anzi, lo stavo investendo per crearmi un futuro professionale.
Una carriera più che promettente ma poi… Cosa è successo al titolo Blizzard?
Secondo il mio punto di vista i problemi sono stati molteplici. Da un lato le organizzazioni, in particolare italiane, avevano poca stabilità: la durata media dei team era brevissima, cambiavano da un torneo all’altro. Se a questo aggiungiamo che il supporto diretto di Blizzard era solo per la Overwatch League o il Contenders, in pratica tutte le altre org non erano nemmeno incentivate a promuovere una sorta di stabilità interna. Poi piano piano hanno iniziato a scomparire gli eventi dal vivo, persino ai Contenders, con Blizzard che non ha mai dato un vero sostegno alle basi della scena competitiva, fattore che secondo me è il più importante per costruire un esports: la Overwatch League da sola non può essere sufficiente per creare interesse e passione dal basso, soprattutto se non mette in mostra quale percorso bisogna compiere per arrivare in cima.
Il Midna di oggi
A distanza di tre anni, oggi che figura sei nell’esports italiano?
C’è stato un periodo in cui ho provato diversi giochi, ricoprendo sostanzialmente la figura di streamer. Poi grazie al fatto che aveva accumulato tanta esperienza su Dota 2 ho iniziato a giocare a League of Legends, trovando nuova linfa vitale, una nuova passione. Sono in realtà due giochi diversi, con entrambi le loro difficoltà nonostante in tanti pensino che siano uguali, ma la passione che ho iniziato a sentire giocando a League era la stessa di Dota 2. Oggi mi sento nuovamente un player competitivo: il mio obiettivo è arrivare, non domani ci mancherebbe, ma in un futuro non troppo lontano, alla massima serie italiana di League of Legends, il Pg Nationals. Sto facendo di tutto per migliorare giorno dopo giorno.
Ha sicuramente colpito il tuo recente tweet: “Cerco team per competere”, però appunto su League of Legends. D’altronde non mancano nella storia esports coloro che sono passati da un titolo all’altro. Certo, molto spesso capita tra titoli simili, qua si tratta di passare da un FPS a un Moba, eppure… Eppure credi che possano esserci delle analogie tra Overwatch e League of Legends?
In realtà, quasi scherzando ma non troppo, potrei dire che il passaggio lo sto effettuando da Dota 2 a League, visto che nel primo ho passato più di 10.000 ore di gioco. Però è vero che, pur avendo fatto tante ranked e raggiunto un grado abbastanza alto, non ho mai giocato realmente competitivo su Dota 2. La competizione vera e propria è arrivata con Overwatch: è lì che iniziato a giocare con la mentalità di voler migliorare davvero. Forse è proprio questa mentalità, questa metodologia del pensiero competitivo di migliorare e mettersi al servizio dei compagni nel team, che mi porto dietro da Overwatch, al di là delle differenze enormi di gameplay tra i due titoli.
Domanda un po’ delicata: a 23 anni si può essere ancora pronti per una nuova avventura nel competitivo? Effettivamente, se ci guardiamo intorno, l’età media dei giocatori professionisti sta aumentando, no?
Credo che l’età media si alzi anno dopo anno mano a mano che l’esports acquista una sua età propria. Dipende certamente dal tipo di esports che si considera: se prendiamo Quake o Cs:go ad esempio ci sono giocatori anche ampiamente sopra i 30 anni che ancora oggi giocano ai massimi livelli senza difficoltà. Quella dei riflessi è quasi una leggenda, un luogo comune, perché è l’esperienza a fare la differenza, anche quando si proviene da altri ambiti o titoli. I giocatori professionisti ormai hanno un’età media che si avvicina ai 25 anni e continua a crescere. Certo, dipende molto dagli obiettivi che ci si vuole porre: pensare di poter arrivare al mondiale del proprio esports partendo da zero a 23 anni forse è utopistico, quasi impossibile, ma nel mio caso ad esempio, in cui l’obiettivo è il Pg Nationals, penso sia un traguardo raggiungibile. Non dico semplice ma senza dubbio fattibile.
Il futuro su League of Legends
Se prima abbiamo parlato dell’assenza su Overwatch di un vero e proprio path to pro, di un percorso di crescita competitivo, lo stesso non possiamo dire di League, anzi: il Circuito Tormenta da tantissime possibilità per mettersi in gioco e “provarsi”, se mi passi il termine, no?
Devo ammettere che sono rimasto positivamente sorpreso e colpito dell’organizzazione e della struttura del Circuito Tormenta. Ci sono le LAN, vanta esposizione mediatica, crea interesse, Riot Games per prima investe in questo circuito, un comportamento assolutamente non scontato. E poi ci sono sempre aggiornamenti, patch, novità: si vede che c’è un’attenzione costante al giocatore a 360°, sia a quello casuale, amatoriale che a quello professionista.
Cosa ti aspetti tu dalla scena esports di League of Legends? Come sono andati questi mesi di frequentazione?
Le persone mi avevano avvertito riguardo la tossicità ma credo che sia inevitabile. È una community talmente grande che è più probabile trovare degli elementi, pochi rispetto alla massa in percentuale ma tanti in senso assoluto, che non si comportano in maniera garbata, per usare un eufemismo. Non so cosa aspettarmi sinceramente ma io mi sono posto un obbiettivo, una sfida personale: cercare di essere il più corretto possibile, evitando di arrabbiarmi, insultare, mostrarmi positivo. Perché altrimenti si entra in un circolo vizioso in cui si vanno a influenzare i compagni di squadra, sia in modo positivo che, appunto, negativo. Dobbiamo partire da noi stessi, sempre, prima ancora che pretendere dagli altri.
Non abbiamo detto una cosa importante, prima di chiudere: ruolo?
Sono un toplaner, per due motivi. Il primo è per dimostare quanto sbagliano tutti color che affermano che si tratti di un’isola felice e che tale ruolo non ha impatto sulla partita, anzi. E poi perché è soprattutto in toplane che trovo personaggi che mi piacciono nello stile di tank e bruiser, non ho mica dimenticato il mio ruolo su Overwatch, il mio stile rimane più o meno quello. Attualmente sto puntando, in particolare, a tre pick: Fiora, Trundle, Mordekaiser.