Esports: un settore emergente cui servono soprattutto competenze trasversali

L’esigenza di figure professionali con competenze trasversali è una delle tematiche che emergono nel corso dell’incontro realizzato a Terni da Gn Media su “il videogame e gli esports come professione”.

Cosa significa, oggi, lavorare nel mondo degli esports? A spiegarlo ci hanno pensato all’interno della Terni Digital Week Marco Saletta, presidente di Iidea Association, Luca Pagano,  amministratore delegato di Qlash e Massimo Caputi, giornalista sportivo e conduttore, docente al master in Sport Management per Luiss Business School “Cronista digitale”, in un incontro moderato dal direttore di Gioco News ed Esportsmag, Alessio Crisantemi.

Quelle negli sport elettronici non sono più professioni del futuro, ma sono sicuramente ancora professioni emergenti. Gli esports offrono, già oggi, diverse opzioni di carriera, e non è necessario essere un player professionista per far parte di questo settore. Si tratta, infatti, di un comparto in pieno sviluppo, che necessità di moltissime competenze e professionalità differenti.

“L’industria del videogame”, esordisce Alessio Crisantemi, “è molto sviluppata e non va vista più come un elemento di svago ma come un’opportunità di crescita personale e di carriera”.

“Il fenomeno videogioco è un fenomeno globale”, spiega Marco Saletta, “ogni giorno ci sono 3,5 miliardi di giocatori con il mobile che la fa da padrona. l’Italia è un paese con forte connotazione videoludica sia prima, sia durante che dopo la pandemia. Ci sono 17 milioni di appassionati con un fatturato di 2 miliardi e 800 milioni di euro. Questa industria è un’opportunità di sviluppo per il paese e per i giovani: in Iidea ci sono più di 150 studi di sviluppo e il Made in Italy sta diventando un fenomeno che appassiona sempre di più tutto il mondo. C’è terreno fertile per i prodotti italiani. Il 70 percento delle aziende opera da più di 4 anni, c’è stabilità e i fatturati dimostrano un buon successo. A livello di occupazione abbiamo circa 1600 professionisti e il 30 percento delle nostre imprese membro sta continuando ad assumere, espandendo le opportunità. Anche le istituzioni sono all’opera sia con il tax credit (quasi 11 milioni) sia con la de-burocratizzazione delle industrie”.

“Esports è tutto ciò che è competizione professionistica di videogiochi”, illustra invece Luca Pagano delineando i confini della discussione. “L’ecosistema è composto da squadre come Qlash che partecipano a campionati internazionali e nazionali di videogiochi come League of Legends. Queste competizioni vengono trasmesse sulle varie piattaforme (YouTube e Twitch) targetizzando i fan di questo ecosistema. Gli attori protagonisti dell’industry oltre a quelli appena menzionati sono i Publisher, chi sviluppa i videogiochi. Gli esports sono un ottimo strumento di marketing, e gli sponsor che, sfruttando la fanbase dei team, usano gli spazi per aumentare la loro visibilità”.

“Nel 1998 io e Massimo Bulgarelli”, ricorda invece Massimo Caputi, “abbiamo dato la voce al commento di Fifa, siamo stati i primi a creare una cosa del genere, una novità assoluta per l’Italia. Non c’erano le piattaforme di adesso ma noi eravamo molto orgogliosi di essere stati scelti da Electronic Arts. Anche a tanti anni da quel momento incontro ragazzi e genitori che mi raccontano di quante notti hanno passato in compagnia di Fifa. Siamo stati 5 giorni in uno studio di registrazione con un pacco di fogli con tutte le frasi da declinare passo dopo passo. É stata un’esperienza incredibile che ricordo con grandissimo affetto. Questo mi ha permesso di affascinarmi e di essere molto attento a quello che succedeva nel mondo dei videogiochi e degli esports che non sono più un trend o una moda ma un’industria che può svilupparsi nel nostro paese. Credo che negli anni passati questo mondo sia stato sottovalutato soprattutto a livello di regolamentazione. Prima di tutto, però, servono i giovani, perché loro prima di tutto hanno gli strumenti per interagire con i fan e i loro coetanei”.

Ma che tipo di competenze sono richieste oggi dall’industria dei videogame e cosa sta cambiando con il mondo degli esports?

“L’industria dei videogame richiede talenti di varia natura e prima di tutto di alzare la qualità dei nostri prodotti”, aggiunge Saletta. “Dobbiamo accelerare lo sviluppo di competenze manageriali in grado di elevare ancora di più il settore sul piano nazionale e internazionale. Si può essere laureati in legge, in economia, in architettura e in molte altre discipline trasversali al mondo dell’intrattenimento. Andando più a fondo nel mondo degli esports (il cui valore si aggira intorno ai 40 milioni di euro) ma si iniziano ad affacciare grandi temi come l’organizzazione di eventi e i diritti televisivi. É un puzzle complesso che richiede competenze: marketing, business development e software engeneering sono solo alcuni esempi. Servono esperti di social media, di media company e di analisi dei trend e della gestione degli influencer per cui servono veri e propri project manager. Sono veramente tante le sfaccettature su cui lavorare per creare un ecosistema esportivo professionalizzato e pronto ad accogliere una platea di giovani”.

“Abbiamo bisogno di tantissime competenze anche noi. Noi in Qlash facciamo tre cose fondamentalmente”, spiega Pagano: “competizione, con i nostri giocatori, team manager, nutrizionista e mental coach”.

“Poi organizziamo tornei per i casual gamer, ovvero tutti coloro che vogliono provare a diventare professionisti per cui servono mediatori e arbitri. E poi siamo una media company che crea e distribuisce contenuti dove abbiamo grafici, social media manager, caster, influencer, grafici e altre professioni legate all’intrattenimento. Il vero problema è che negli esports ogni gioco vive di un linguaggio suo, parla a un’audience diversa e ha regole di ingaggio diverse. Avere un giocatore o un’analyst o un videomaker di Fifa non vuol dire avere le stesse competenze negli altri giochi che seguiamo. Le competenze che ci servono non le troviamo sul mercato ma le andiamo a formare in giovani appassionati che vogliono diventare professionisti nell’ambito dell’esports”, continua l’imprenditore. “Noi li formiamo e gli facciamo capire la struttura la professionalità e la serietà necessarie. All’inizio ero scettico ma mi sono dovuto ricredere perché c’è tanta passione e la passione è un drive fantastico per sviluppare una carriera. Questo sistema è un grande limite ma anche una grande opportunità per i giovani ed è necessario arrivare ai genitori per spiegargli che di videogiochi si può campare e il loro sogno si può realizzare”.

“Molti sportivi stanno sposando il mondo dell’esports”, aggiunge chiudendo il suo intervento, “e anticipo una press release che faremo nei prossimi giorni: hanno investito con noi Zappacosta, Baselli, Francesca Piccinini e un campione di UFC come Marvin Vettori. Gli sportivi capiscono esattamente quello che stiamo facendo: l’industry degli esport è tale e quale a quella degli sport tradizionali quindi gli atleti vedono quello che è oggi e capiscono quello che possono diventare in futuro. Spesso dei dirigenti di fondi di investimento questa cosa non la capiscono”.

“Sport ed esports oggi sono un potenziale contenitore di figure professionali e di sbocco per i giovani nel mondo del lavoro”, aggiunge Caputi. “Oggi, ad esempio, facendo un parallelismo con il calcio, non c’è un allenatore che non abbia il match analyst. È una nuova professione che ha sfruttato la tecnologia e io credo che questo esempio sia la dimostrazione che in un mondo enorme quello dell’esports c’è spazio per nuove figure professionali. E dobbiamo essere noi a pungolare i ragazzi, senza sminuire i videogiochi. Sport e videogiochi possono navigare sulla stessa lunghezza d’onda. L’uno non esclude l’altro. Dobbiamo familiarizzare con questo concetto ed essere in grado di capire tutto questo. Oggi in Italia, inoltre, abbiamo bisogno di strutture anche per l’esports e non solo per quel che riguarda le gaming house”.

“Proprio in questi giorni”, spiega Crisantemi, “si sta inaugurando il nuovo palazzetto dello sport a Terni. Ricordo che agli inizi, tra i possibili utilizzi si parlava anche di esports. Del resto, Il nostro gruppo editoriale, Gn Media, nel 2019 ha scritto un libro, dove la prefazione era stata affidata al presidente dell’Istituto del Credito Sportivo Andrea Abodi. Per chiunque non conoscesse l’ente, il Credito Sportivo si occupa di finanziare la nascita degli impianti sportivi e non solo. Dico questo perché non solo l’esports può essere complementare con lo sport, ma può riqualificare gli impianti in dismissione come già fanno all’estero”.

“Quando si parla di formazione e di avvicinare gli studenti all’esports c’è grande interesse”, ricorda invece Saletta. “Dobbiamo seguire la strada tracciata dagli altri paesi all’estero e dobbiamo farlo politicamente. Senza un ruolo attivo da parte della politica nei confronti di quei giovani che si avvicinano a questo mondo, il ritardo che abbiamo accumulato fino adesso potrebbe dilatarsi ulteriormente. Noi con Round One porteremo dei progetti di formazione legati al videogioco. Università e studenti potranno partecipare a questo evento per comprendere le dinamiche e le competenze del settore. Tornando all’esports, mi accorgo di quanto sia molto più inclusivo rispetto allo sport. L’esports le barriere le abbassa, permette a tutti di poter competere. Sviluppa le capacità per quelli che sono gli stessi mezzi. A nessuno, però, deve interessare togliere spazio all’altro. Devono essere due mondi che coesistono e, soprattutto, inclusivi”.

Si parla anche di inclusività, “un tema che mi sta molto a cuore”, spiega Crisantemi. Negli sport elettronici c’è davvero parità, anche di genere, e il tema della disabilità viene trattato diversamente. Davanti ad una console non abbiamo bisogno delle paralimpiadi perché tutti possono partire dalla stessa base”.

Al discorso si collega poi Pagano illustrando un progetto di alternanza scuola lavoro di Qlash proposto ad una scuola del Trentino. “All’inizio c’era un po’ di ostracismo, ma con il passare del tempo la preside si è subito convinta e abbiamo vinto le resistenze iniziali. Siamo riusciti a riproporre il progetto in altre due occasioni. I ragazzi e i genitori erano davvero entusiasti. Abbiamo insegnato ai ragazzi cosa vuol dire lavorare nel mondo dell’esports. I videogiochi possono essere il terreno comune per ingaggiare i giovani che magari hanno altri interessi e altre aspettative. Un’altra esperienza significativa è quella che stiamo sviluppando con il Municipio di Madrid grazie a Qlash. Nel caso specifico, per educare i ragazzi, andremo ad organizzare delle competizioni di Minecraft, dove l’obiettivo sarà quello di ricostruire in game i principali monumenti o edifici di Madrid”.

Sarà fondamentale in questa fase di transizione educare giovani e giovanissimi, ma anche quelli della nostra generazione. L’aspetto pedagogico, poi, è fondamentale. Molto spesso sento parlare di isolamento per quanto riguarda i videogiochi o l’esports. In realtà, ci sono due concetti fondamentali: quello di community e di squadra per tutti quei giocatori professionisti.

“Possiamo essere titubanti sulle tempistiche”, dice Caputi, “ma sono sicurissimo che l’esports sarà un fenomeno che esploderà anche da noi. Una mano, però, dovrà arrivare anche da chi guida il paese a partire dai politici. Al tempo stesso, il mondo dell’esports e dei videogiochi deve uscire dal proprio recinto e chiedere aiuto e sostegno da parte di chi non opera in questo settore. Abbiamo bisogno di aiuti esterni per comprendere lo sviluppo o le criticità di quest’ambiente. Così come si insegnano tante materie a scuola, perché non insegnare anche l’uso della tecnologia? Non dico dei videogiochi, ma degli strumenti che oggi sono a nostra disposizione. Questo è un tema che deve arrivare sul tavolo del prossimo Ministro dell’Istruzione. E dobbiamo augurarci che abbia la mente aperta per capire le reali potenzialità”.

“I videogiochi, inoltre, possono essere quell’elemento ludico”, spiega infine Pagano, mentre l’incontro si avvia alla conclusione, “che può catturare l’attenzione proprio dei ragazzi. Perché non necessariamente il ragazzo può essere interessato di tecnologia, ma con la parte ludica di mezzo può essere trainato”.

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