L’hype generato e la dovuta reverenza nei confronti di una delle saghe più amate del mondo del gaming rendono questo verdetto ancora più doloroso da pronunciare.
La qualità tecnica di God of War Ragnarok è, come quella di Horizon Forbidden West, una portabandiera eccellente per la PlayStation 5 di cui Sony deve essere orgogliosa. Dall’acqua agli dei, dalle foglie alle singole particelle di terra, il mondo nordico di God of War raggiunge vette di bellezza rare per un videogioco.
Il problema di questo titolo, però, è che il suo cuore non riesce a emozionare. Se la storia è intrigante e avvincente e le ambientazioni sono da togliere il fiato ma il combattimento annoia molto presto nella sua bidimensionalità. Tirare colpi di ascia e di spade dovrebbe essere un turbinio di sangue, violenza, acrobazie senza senso e fiamme di Sparta, invece diventa in pochissimo tempo un frullato di bottoni che, nel migliore dei casi diverte, nel peggiore annoia.
God of War Ragnarock è il sequel diretto del reboot del franchise che è stato fatto nel 2018, un titolo che ha vinto il premio di Gioco dell’Anno da quanto ha stupito e lasciato a bocca aperta i suoi giocatori. Questo nuovo capitolo va a correggere alcuni dei difetti più gravi del suo predecessore (come la carestia di boss o nemici rilevanti) ma non fa nulla per riavvicinare il nuovo Kratos al chaos dei primi 3 capitoli.
In Ragnarok tutto ruota intorno ad Atreus, figlio di Kratos, al suo destino e al suo rapporto con gli Aesir, le divinità del pantheon nordico. Nulla verrà spoilerato ma sappiate che la storia è ben scritta e porterà i personaggi ad affrontare verità scomode del loro passato. I colpi di scena non mancano, soprattutto al passaggio da un capitolo all’altro quindi chi vuole scoprire come va avanti la storia di Kratos e Atreus non può assolutamente perdersi questo titolo.
A muovere i personaggi è la minaccia del Fimbulvetr (o Fimbulwinter), uno stravolgimento climatico che fa da preludio agli eventi del Ragnarok, la fine del mondo. Se nella mitologia norrena prende la forma di un inverno rigidissimo e impietoso, in God of War questo strumento narrativo è sorprendentemente contemporaneo e fa da monito alla crisi climatica che stiamo vivendo. Il primo livello è ambientato in una foresta dove la neve è sempre più fitta ma già dal secondo (ambientato nel regno dei nani) scopriamo che il Fimbulwinter può anche portare all’innalzamento della temperatura e al rilascio di gas venefici, come sta succedendo in alcune sone della tundra canadese e della Groenlandia. Una scelta artistica che abbiamo molto apprezzato.
Il design dei livelli, poi, è incentrato su dei binari ben precisi ma ha una struttura che gli sviluppatori chiamano “Open Linear” in contrapposizione a open world. In parole povere, nel corso di un livello lineare che vuole portarvi da A a B potrete incontrare mini puzzle per sbloccare forzieri segreti o delle vere e proprie side quest. Queste missioni secondarie potrete affrontare anche più avanti visto che ogni livello può essere visitato nuovamente dopo averlo completato.
Durante questi momenti di esplorazione gli sviluppatori hanno dato ad Atreus alcune linee di dialogo che sembrano provenire direttamente da Deadpool. Quando sarete alla ricerca di forzieri, per esempio, Atreus vi dirà “ma coma fai a sapere sempre dove trovare queste casse”, una sottilissima breccia nella quarta parete che, insieme a diverse altre che non anticiperemo, ci ha fatto sorridere nella nostra run a difficoltà normale.
Ora non possiamo non parlare di quello che è stato l’aspetto più deludente di Ragnarok: il combattimento. Una dovuta premessa: è volontà dello studio di sviluppo rendere la saga più seria e pesata. Questo desiderio si riflette nella regia delle cutscene, nello sviluppo dei personaggi e, necessariamente, anche nel combattimento. Purtroppo il risultato finale è che l’emozione che ci ha tenuti incollati a classici come God of War 2 non c’è nei momenti di azione più concitata.
L’ascia (che sfrutta l’elemento del ghiaccio) e le storiche Lame del Chaos (che usano il fuoco) hanno tanti effetti visivi e sonori e persino un sistema di rune per potenziare l’attacco leggero e quello pesante. Il combattimento, però, risulta molto macchinoso tra le mani, quasi spugnoso nel suo essere lento e insieme impreciso. Le combo fiammeggianti del passato sono un ricordo lontano soprattutto perché la densità dei nemici di ogni encounter è molto più bassa. Le animazioni di stordimento, poi, sembrano quelle di un musou di seconda categoria.
Le tantissime potenzialità del controller Dualsense della PS5, poi, sono state sfruttate abbastanza male con gli attacchi leggeri e pesanti che danno la stessa risposta nella vibrazione. É come se il gioco stia avendo una crisi di identità: non più hack and slash come in passato ma nemmeno high precision Melee come For Honor, per esempio. Il risultato è un combattimento che non ha un’identità, è lento nei momenti sbagliati e macchinoso quando dovrebbe stupire.
L’ambientazione impeccabile, la storia affascinante e i personaggi molto ben sviluppati riescono, secondo noi, a sopperire al combattimento spugnoso facendo di God of War Ragnarok un gioco che vale la pena giocare. Purtroppo non possiamo che essere tristi davanti all’opportunità sprecata di mettere insieme un’esperienza quasi perfetta.