Per celebrare i trent’anni di Myst, uno dei videogiochi che hanno fatto la storia del medium, abbiamo intervistato uno dei suoi creatori: Rand Miller.
Nell’olimpo dei videogiochi che hanno contribuito a plasmare quello che oggi consideriamo il medium interattivo per eccellenza c’è Myst, la creazione datata 1993 dei fratelli Miller, Rand e Robyn. Questo gioco ha fatto da pioniere nello storytelling in prima persona teletrasportando il giocatore in un mondo, diviso in isole, dove due fratelli imprigionati in altrettanti libri chiedono a chi gioca di essere liberati. In Myst non ci sono minacce, nemici, timer o schermate di game over, una novità assoluta per il tempo, e non c’è nemmeno un’interfaccia. Il giocatore punta, clicca e avanza o interagisce con gli oggetti. Per dissezionare tutti i contributi che i fratelli Miller hanno dato al gaming odierno ci vorrebbe un libro (che è già stato scritto), noi qui vogliamo darvi l’opportunità di sedervi a un tavolo con Rand e fargli delle domande. Direttamente dalla Villa Bottini del Lucca Comics and Games, ecco la nostra intervista integrale con uno dei creatori di Myst: Rand Miller.
Come è nato Myst?
“Myst è nato dai vincoli hardware del tempo. Penso che ogni sforzo creativo sia costretto in una scatola. Se stai realizzando un dipinto, è la dimensione della tela. Se stai scrivendo un libro è il numero di pagine, e non è una brutta cosa. Questo è un ottimo incentivo perché ti rende incredibilmente creativo all’interno della scatola. Quando abbiamo realizzato Myst lo sapevamo, la nostra grande visione era: vogliamo che ti sembri di andare in un nuovo mondo, ma quel mondo deve sembrare un posto reale. E i vincoli ci hanno fatto capire che non potevamo avere una mappa continua dove andare ovunque. Quindi abbiamo suddiviso il gioco in mondi separati. Potevamo caricare ogni mondo individualmente e così abbiamo deciso che ci sarebbero stati luoghi separati a cui saremmo andati da un hub centrale. Sapevamo anche che per un giocatore è molto frustrante camminare in un’area, vedere una strada o un sentiero, provare a seguirlo e vedersi il gioco che dice “oh no, non puoi seguire questo sentiero”. Era molto frustrante allora, quindi abbiamo deciso che un’isola non avrebbe vincolato il giocatore così tanto. Queste sono state le idee generali che hanno dato forma a Myst”.
La storia di Myst è nata da questi vincoli?
“È così difficile dire da dove venga la storia. Qualunque creativo ti direbbe che la storia era già lì e lui l’ha semplicemente messa insieme. Ed è così che ci sentivamo per Myst. Penso che sapessimo che dovevamo avere collegamenti magici con questi altri mondi. E all’inizio pensavamo che fossero schermi o qualche strana tecnologia che ti avrebbe portato in altri posti. Poi ci siamo chiesti, e se fossero libri? E non appena abbiamo pensato ai libri, con un collegamento magico al loro interno, è stato perfetto perché i libri ti portano in posti nuovi, questa volta letteralmente.
All’inizio, poi, pensavamo che il giocatore avrebbe dovuto decidere tra due fratelli, e solo uno sarebbe stato cattivo. Ci piaceva l’idea che fosse l’ambiente a dare gli indizi, che, in qualche modo, la narrazione sarebbe stata raccontata esplorando i mondi in cui vivevano i due fratelli. E poi, molto rapidamente, ci siamo resi conto che non potevamo far sì che uno fosse buono e l’altro cattivo, sarebbe stato troppo facile. Quindi abbiamo reso la scelta più oscura: uno era più grezzo e l’altro più elegante, ma erano entrambi cattivi. Ed è stato allora che ci è venuta l’idea. Fu un momento così (schiocca le dita), avevamo capito che avevamo trovato la strada giusta. Poi ci siamo anche resi conto che avevamo bisogno di una piccola svolta alla fine, e ora parlo come se di dicessi “guardami! Sono un genio”, ma questa è narrazione molto rudimentale. Tuttavia è stato difficile immaginare esattamente come realizzare tutto questo in un videogioco, ma ci è piaciuto quando abbiamo deciso che ci sarebbe stata una svolta alla fine”.
Quali sono stati i maggiori punti di attrito con tuo fratello quando stavate realizzando Myst?
“Ci sono degli aspetti molto positivi nel lavorare con tuo fratello. Uno è che siete cresciuti essendo molto onesti gli uni con gli altri. Gli puoi dire ‘Ehi, stupido, perché hai fatto questo?’ E lui non si offende, di solito, perché cresci dicendo proprio queste cose. Quindi siamo stati molto onesti nello sviluppo e quando uno di noi aveva delle idee, l’altro diceva: No, no, no. E poi sapevamo, perché eravamo onesti, che quando entrambi eravamo d’accordo, la cosa su cui eravamo d’accordo doveva essere buona. Non c’era un muro di onestà, il che è stato molto positivo. Quindi, nel bene e nel male, soprattutto all’epoca visto quello che abbiamo fatto, penso che sia stata una bella impresa. Mentre facevamo Riven, il seguito di Myst, e questo è puro gossip, avevamo molti più soldi. Penso che parte del successo di Myst ci sia andato alla testa e abbiamo pensato ‘ah come siamo intelligenti’. Ci siamo resi conto dopo che non è così: se lavori duro, a volte sei fortunato. Ma con Riven abbiamo messo molto più tempo e molto più orgoglio in quello che stavamo facendo. E forse eravamo troppo critici l’uno verso l’altro, quindi c’erano più attriti”.
Quando stavate realizzando Myst avete deciso di realizzare un gioco che fosse molto più adulto rispetto a quelli che facevate prima. Perché avete deciso di intraprendere questa strada?
“É stata una decisione molto naturale per noi. Quando abbiamo iniziato con il nostro primo progetto, The Manhole, se ci avessero chiesto se potevamo fare qualcosa per gli adulti in quel momento, probabilmente avremmo detto ‘no, non siamo pronti’. È come chiedere a una persona che ha appena iniziato a intagliare il legno se può farti un bellissimo baule; lui ti risponderebbe ‘no, non ancora. Ho bisogno di esercitarmi su alcune cose che sono più indulgenti’. E il gaming per bambini è molto più indulgente perché ti permette di esercitarti, di commettere errori, di imparare cosa è bene e cosa è male e di rimanere più in superficie nelle cose.
Quindi con Manhole abbiamo sperimentato con un sacco di cose, poi, con il nostro progetto successivo Cosmic Osmo, ci siamo resi conto che c’erano alcuni elementi di Manhole in cui c’erano quantità molto piccole di storia e narrativa e ci siamo resi conto che erano davvero fantastici. Quindi, anche in Cosmic Osmo abbiamo iniziato a creare piccoli fili di storia che avrebbero collegato insieme diverse parti del gioco. Dopo Cosmic Osmo avevamo due possibilità: ricordo molto distintamente di aver detto a mio fratello ‘ok, credo di comprendere abbastanza bene gli strumenti del mestiere ora’. Volevamo realizzare qualcosa che insegnasse alle persone, in cui i bambini potessero imparare ma non in modo noioso perché a entrambi non piaceva la scuola.
L’altro desiderio che avevamo, era fare qualcosa per gli adulti in modo che ne sarebbero rimasti incuriositi. Quindi abbiamo provato a fare una proposta per un progetto chiamato Grey Summons che fosse per un pubblico più adulto. Ed è stato respinto. Nessuno voleva finanziarlo. Quindi abbiamo proposto un gioco educativo e ne abbiamo realizzato uno per bambini ed è stato fantastico. Lo amavo. Ma è stato solo dopo che un’azienda giapponese è venuta da noi e ci ha detto ‘potreste fare qualcosa per gli adulti adesso?’ E abbiamo detto: sì, possiamo”.
Un altro pilastro che ha ispirato molti designer è stata la scelta di realizzare un gioco senza alcuna minaccia. Quali sono le origini di questa scelta?
“Ricordo come se fosse ieri, mentre stavamo progettando Myst, che ci siamo seduti a un tavolo e quella domanda è venuta fuori immediatamente perché in ogni gioco a cui avessimo mai giocato per adulti, quando morivi ricominciavi da capo. Quindi ricordo che dicevamo: ‘E se non morissimo?’ Ed era così bizzarro che non potevi nemmeno immaginarlo. Era così rischioso, ma ne vedevamo il potenziale e ci abbiamo provato. Questo, naturalmente, avrebbe avuto notevoli ripercussioni sulla durata perché il fatto che bisogna ricominciare quando si muore significa che non deve essere poi così grande, giusto? Puoi rimpicciolirlo perché è più difficile arrivare alla fine quando devi ricominciare da capo ogni volta.
Quindi abbiamo iniziato subito a discutere dell’attrito e di come far sembrare il viaggio più lungo. Non sarebbe stato, però, l’attrito a uccidere il giocatore, l’attrito l’avrebbe solo rallentato facendogli credere di venire ricompensato sbloccando un nuovo posto. Questo è stato il motivo principale per cui abbiamo implementato gli enigmi ambientali, per causare attrito. Poi, e ricordo anche questo con precisione, ci siamo resi conto che il gioco doveva essere grande. Doveva esserci abbastanza spazio per far sentire chi giocava di aver fatto un buon investimento. Inoltre eravamo nel posto giusto al momento giusto perché fare un gioco grande significava avere molto spazio di archiviazione e i CD ROM erano appena usciti”.
Come ci si sente a vedere così tanti game designer utilizzare le cose che tu hai contribuito a creare da pioniere?
“È la sensazione più bella di sempre. Mi sorprende e mi onora perché, alla fine, l’arte crea ancora più arte. Noi abbiamo tratto le nostre ispirazioni non da videogiochi ma da Jules Verne, Dune, Star Wars e Il Signore degli Anelli. Quelle erano le cose con cui siamo cresciuti e ci sembrava che fossero qualcosa di speciale. Quelli non erano solo film e libri, erano mondi e sembravano mondi, quindi abbiamo creato un gioco che sembrasse un mondo. È sorprendente per me che ora facciamo parte di una catena di ispirazione che le persone future usano e useranno per realizzare cose ancora migliori, è così che funziona la creatività”.
Mentre stavate realizzando Myst, avevate la sensazione di stare facendo un solco così marcato sul mondo dei videogiochi?
“Quando lo stavamo facendo sapevamo che sarebbe stato una nicchia. Sapevamo che non sarebbe piaciuto a tutti perché non era come gli altri giochi. L’altra cosa che sentivamo, però, si può riassumere in ‘ooh, sembra speciale, forse piacerà a molte persone che di norma non giocano perché è diverso e ne rimarranno sorpresi’. Abbiamo dei documenti dei primi mesi di sviluppo in cui diciamo “forse venderemo 100.000 copie”, che era un numero abbastanza grande per l’epoca ma non gigantesco. Ma poi abbiamo altri documenti che dicono, e questi sono quelli che abbiamo inviato alla società giapponese che lo ha finanziato, ‘questo gioco si rivolgerà a un pubblico più ampio rispetto ai semplici videogiocatori. Lo faremo in modo che piaccia a tutti’. E lo abbiamo tenuto a mente quando stavamo realizzando il gioco. Una delle altre cose che abbiamo fatto, che è stata molto importante per noi, è stato decidere che non volevamo nient’altro sullo schermo. Non c’erano opzioni nei menu, non c’era inventario, eri solo tu e il mondo perché bastava muoversi con un clic ed era così facile che anche nostra madre ci poteva giocare. Quindi abbiamo pensato che questa configurazione potesse avere un ampio appeal”.
Fai finta per un secondo di non aver realizzato Myst 30 anni fa: la stessa azienda ti chiama oggi, con l’esperienza che hai, per realizzare proprio Myst. C’è qualcosa che faresti diversamente oggi rispetto a 30 anni fa?
“Sì, proprio per il motivo da cui ho iniziato: la scatola in cui progetti cambia nel tempo. La tecnologia definisce quella scatola. E la scatola di allora era molto diversa da quella di oggi. Quindi ti siedi al tavolo con una serie di vincoli completamente diversi, con molte più cose che puoi fare. Adoro la realtà virtuale. È ancora complicato ma dà la stessa sensazione di quando abbiamo realizzato Myst dove tutto è fatto con un tasto mouse. Le tue mani sono sullo schermo, fai clic e sembra che l’interfaccia scompaia. Non ci sono controller, non c’è tastiera, non c’è niente di complicato. Una delle domande più importanti per me per quanro riguarda la realtà virtuale è: cosa succederebbe se usassi solo le mani? Non mi interessano i pulsanti sui comandi manuali. Dammi solo delle mani vere e vediamo cosa possono fare”.
Myst in VR è la nuova frontiera?
“Era una delle cose che ero determinato a fare fin dall’inizio. Ora sentiamo di avere una certa libertà di sperimentare con Myst realizzandone altre versioni, c’è Myst in tempo reale e VR Myst. Quando è uscito il Quest 2 abbiamo deciso di sperimentare realizzando una nuova versione di Myst sul PC che è bellissima, contiene molti dettagli, ma può anche essere giocata in VR. E la cosa più divertente che ho fatto nella versione Quest 2 è stata entrare in una stanza grande quanto la biblioteca di Myst e l’ho giocato in scala reale, senza teletrasportarmi semplicemente camminando per la stanza e facendo cose al suo interno come se fosse tutto di dimensioni reali”.
Qual è l’eredità di Myst?
“Penso che il fulcro dell’eredità del nostro gioco abbia a che fare con la narrativa. Penso che se c’è una cosa che siamo riusciti a fare in Myst, e vorrei dire che siamo dei geni e l’abbiamo fatta apposta ma sono stati tutti solo esperimenti, è stata riuscire a inserire più storie nel mondo. E non l’abbiamo fatto bene, ma almeno ci siamo fatti l’idea che il mondo potesse raccontare una storia e questa è una sensazione introvabile in altri media.I libri e i film sono lineari, ma se usi un medium interattivo per raccontare una storia è il giocatore che deve dire ‘perché questa sedia è qui? Perché c’è un tavolo? Da dove viene questo tavolo?’ Ti rendi conto che quelle cose sono lì per una ragione e se lo fai bene, allora la ragione racconta la storia. Tutto questo racconta la storia di un luogo e significa che chi gioca può prendersi il suo tempo e non avere fretta.
Può guardarsi intorno e non vedere solo una copertura sul mondo di gioco fatta di texture, vede uno scopo, una qualcosa che racconta una storia semplicemente con la sua presenza. Spero che questa sia l’eredità di Myst. Lo vedo nei giochi più recenti: le persone stanno costruendo di più, trascorrono più tempo negli ambienti e anche in un gioco frenetico come uno sparatutto puoi comunque dare una ragione per cui le cose sono come sono, non è solo una decorazione. A me piace prendermi il mio tempo mentre gioco, non è una filosofia di design molto popolare di questi tempi ma il pendolo oscilla costantemente e più le persone mettono significato nei loro giochi, più il pendolo oscilla indietro a un punto in cui va di moda rallentare un po’ e divertirsi con le sottigliezze di un mondo di gioco”.