È reduce dal successo del programma televisivo House of Esports, che ha avuto il merito di portare per la prima volta su un medium generalista un torneo esportivo di grande impatto: l’Esl Katowice Royale di Fortnite. Daniele Bossari, noto conduttore televisivo e radiofonico, ha inaugurato su Dmax uno spazio tutto dedicato agli eSports. Ad affiancarlo in questa nuova avventura c’erano il caster Ivan “Rampage in the box” Grieco e il pro-player Thomas “Hal” Avallone. Esportsmag ha incontrato Daniele Bossari per un caffè…
1) House of Esports segna il debutto degli eSports sul piccolo schermo. Che bilancio puoi fare di questi due giorni?
Ottimo: abbiamo portato per la prima volta il mondo degli eSports in tivù e già questo è significativo, un momento storico direi. Gli eSports nel resto del mondo sono un successo acclamato e conclamato. Invece qui in Italia rimangono una nicchia dedicata agli appassionati. Il grande pubblico, soprattutto quello più adulto, tende a ignorare questo fenomeno. Cerchiamo di aprire una breccia anche nel circuito mainstream perché, secondo me, la cultura del videogame e il mondo degli eSports in particolare possono portare una ventata d’aria fresca. E anche tanto lavoro per i ragazzi: è un’industria florida che non conosce crisi, i dati parlano chiaro. In Italia siamo tendenzialmente in ritardo rispetto agli altri Paesi, in Europa stiamo arrivando e adesso, finalmente, speriamo che anche in televisione ci sia spazio per informare la gente.
2) Com’è nata House of eSports? C’è qualche retroscena curioso che puoi raccontarci?
Il regista, Max Ceriani, mi aveva incontrato alcuni mesi fa perché era già nell’aria l’idea di poter costruire una trasmissione basata sugli eSports, e io con grande entusiasmo ho risposto: “Sì, facciamola!”. Lui sapeva della mia passione per i videogiochi, avevamo già collaborato per un format di intrattenimento a San Siro. Quindi mi ha chiamato quando le cose si sono concretizzate, per propormi la conduzione. A quel punto ho accettato di buon grado, immediatamente. E dunque sulla carta ci sono voluti probabilmente tanti mesi, ma poi concretamente, in pochi giorni, siamo riusciti a mettere in piedi un programma di cui siamo contenti. L’abbiamo trasformato in realtà.
Penso tutto il bene possibile. Ivan, “Rampage in the box“, è fantastico. Lui è un grande professionista, ha una dialettica fluida, è super-appassionato, competente in quello che fa. Ho trovato nella sua figura e anche in quella di Thomas “Hal” Avallone, che in realtà è un pro-player, due veri professionisti. Mi ha fatto tanto piacere vedere che le ore dedicate a una passione possono diventare poi una reale professione, riconosciuta, e in grado di garantire qualità al prodotto. Io non sono cresciuto con questo genere di impostazione, perché durante la mia fase di adolescente non esistevano queste cose: al massimo si giocava ai videogame, ma non c’era la possibilità di una condivisione del genere. Invece, grazie a mia figlia e ai suoi amici, ho compreso cosa significa tornare a casa e mettersi su YouTube o su Twitch, seguire gli stream dei giocatori e i vari tornei con questi caster che ti guidano all’interno del gioco, spiegandoti le strategie. È fantastico, anche per chi è adulto come me e riesce così a capire meglio e a imparare guardando gli altri, attraverso il commento che rende tutto più coinvolgente. Quindi direi…fantastico!
4) Ovviamente non è un caso che tu sia stato scelto come presentatore di questa due giorni: so che hai una grande passione per i videogiochi…Com’è nata?
Io ho seguito tutta l’evoluzione dei videogiochi, ho avuto tutte le console esistenti. A cominciare da Pong, con le console che si attaccavano al televisore, con le due barre e un quadratino che bisognava respingere. Ma ancor prima sono passato per i giochi da bar, gli arcade, i coin-op, quindi Asteroids, Pac-man, Space Invaders: me li sono fatti tutti. A casa, invece, ho avuto tutte le varie console: Atari, Nintendo, Intellivision…E poi i primi computer, il Commodore 64, i pc, la Playstation, e da lì l’avvento di Xbox: insomma tutto. Possiedo anche delle chicche che magari sono rarità. È una passione che mi accompagna da sempre. Ho un fratello maggiore di tre anni e con lui da bambini giocavamo tutti i giorni, con gli amici. Insomma, posso dire la mia perché ho seguito l’evoluzione. Per me il videogame è una forma d’arte alla pari dei film, delle grandi opere: le emozioni che trasmette un videogioco sono le stesse, se non addirittura maggiori con le ultime novità come la realtà virtuale.
Mia moglie non più di tanto: al limite gioca a qualche videogame sul telefono. Mia figlia invece sì, l’ho indottrinata per bene. Ha quindici anni ed è più appassionata al tipo Nintendo Switch, prima ancora alla Wii. È molto forte con Mario Kart, le piace quell’universo un po’ più immediato, veloce, la partita “casual” che non ha bisogno di troppo allenamento. Io le illustro tutte le novità, le faccio provare tutto quello che provo anch’io e mi piace molto ricevere il suo feedback. Lei stessa mi ha introdotto invece al mondo dei caster, degli YouTuber che parlano di videogiochi, cominciando da Favij per finire con tutti gli altri. È lei che mi ha fatto scoprire quel mondo, perché ha notato che il suo papà giocava agli stessi titoli a cui giocava Favij.
6) Attualmente hai un videogame preferito? Qual è e perché?
Ultimamente gioco tantissimo alla realtà virtuale e il titolo che preferisco è Lone Echo: un’avventura straordinaria, immersiva, spaziale, che mi lascia il tempo di apprezzare gli scenari perché non è frenetica. In Lone Echo bisogna risolvere dei puzzle abbastanza semplici, però la grafica è straordinaria. Ma soprattutto la realtà virtuale mi permette di vivere un’esperienza vera, concreta, cosa che un videogame su uno schermo bidimensionale non può fare. Invece, per quanto riguarda le console, c’è un gioco che secondo me ha segnato uno spartiacque: Farenheit di David Cage. È un’avventura di parecchi anni fa, ormai stra-superata a livello grafico. Però è stato il primo film interattivo davvero coinvolgente, con una meccanica nuova. Mi ha coinvolto tanto. Poi, uno degli anni Ottanta che mi è piaciuto è Dragon’s Lair, un lasergame classico. E poi uno più “leggero”: Katamari, una saga che amo tantissimo. Però in realtà questo è riduttivo, perché davvero li ho giocati tutti: mi piacciono gli “open world”, GTA, Red Dead Redemption, Tomb Raider, The Elder Scrolls, tutti i giochi dove posso esplorare, le avventure…Insomma faccio fatica a trovarne uno solo.
Ho seguito sempre in maniera distaccata gli eSports: mi piaceva vedere l’alta spettacolarità delle azioni perché sono fuori dal mondo ordinario. Quando faccio una partita e poi vedo un pro-player che gioca capisco cosa significa essere pro-player e allenarsi tutti i giorni. Quindi lo trovo pazzesco, indipendentemente dalla nazionalità o dalla tipologia di gioco. Ma ultimamente devo dire che sto facendo il tifo per gli italiani, perché vorrei tanto che portassero anche qui nel nostro Paese una crescita, uno sviluppo in tal senso. In queste settimane ho seguito “Pow3r” con il suo allenamento, attraverso i suoi canali social. Mi sono proprio immedesimato in lui: ho voluto vedere come si preparava per questo suo primo evento Major, e l’emozione nel rappresentare la nostra nazione in un torneo così importante a Katowice, in Polonia. L’ho seguito tanto, quindi sono un fan suo e del suo team: i Fnatic. E poi, dopo aver conosciuto anche Thomas “Hal” Avallone, devo dire che ho scoperto ciò che va al di là dell’apparenza. Infatti, oltre alla sua professionalità, mi è piaciuto vedere il ragazzo che è, come vive, insomma il suo lato umano. Questo l’ho potuto fare solo conoscendolo direttamente. Da adesso in poi farò il tifo per lui.
8) Parliamo del percorso per far riconoscere gli eSports come sport olimpici. Come saprai da un lato abbiamo il presidente della confederazione tedesca dei giochi olimpici che afferma “non esistono”. Dall’altro c’è chi, come l’olimpionico francese Yannick Angel, sostiene che i pro-player siano atleti a tutti gli effetti. Tu cosa ne pensi?
Io penso che sia un grande sport, soprattutto mentale, ma anche fisico. L’attenzione richiesta, la disciplina, l’impegno che un atleta deve metterci per raggiungere certi livelli sono assolutamente equiparabili a quelli di qualsiasi altra disciplina sportiva. Ho seguito per un bel po’ il mondo scacchistico e ho trovato la stessa serietà. Oltre all’impegno mentale che ci si mette, c’è anche quello fisico perché, per equilibrare le tante ore passate davanti a un monitor, è chiaro che bisogna fare un allenamento differente. Pensiamo per esempio alle articolazioni, agli esercizi che vengono richiesti per la mobilità delle dita…Per me, ribadisco, è fondamentale l’impegno mentale, la velocità della reazione: lo sviluppo di quella facoltà è assolutamente da considerarsi come disciplina sportiva.
So che adesso si stanno preparando un po’ di campionati basati su titoli come Echo Arena. Io gioco a Lone Echo, ed Echo Arena deriva da quello. Quindi sì, c’è molta azione, molta frenesia, ci si muove nello spazio e bisogna impiegare anche parecchi muscoli. In realtà però per me non è una novità, perché questo l’ho vissuto già con altre periferiche: mi ricordo la Wii, ma anche Kinect che forse per primo ha permesso di utilizzare il corpo libero e ha perciò sviluppato una serie di giochi e di esercizi fisici. La realtà virtuale è senza dubbio una ragione che si aggiunge all’elenco delle motivazioni per cui reputo gli eSports uno sport vero. Se mentre giochi, mentre ti alleni per un torneo, riesci anche a bruciare calorie e a mantenerti in forma, ben venga.
10) Credi che in futuro ti vedremo ancora alla conduzione di spazi legati agli eSports o comunque auspichi di poter avere altre esperienze lavorative legate al settore?
Sì, spero che questa prima tappa, questo primo obiettivo raggiunto ci permetta di aprire nuove porte. Perciò ti rispondo di sì in maniera assolutamente fiduciosa e già vogliamo proiettarci alle prossime trasmissioni. Non dipende solo da me, questo è chiaro, perché io potrei portare questo discorso magari sul web, ma esiste già una dimensione web altamente qualificata. Il mio compito è quello di divulgare, di fare da traghettatore e quindi di portare questi professionisti anche nel mondo televisivo. Io sono il narratore, però in realtà loro sono i protagonisti. Quindi sì, assolutamente mi impegnerò per cercare di ampliare questo mondo in Italia.