Dal panel realizzato da GiocoNews e Esportsmag su esports e lavoro emerge l’importanza del settore esports per le imprese sportive e il loro rapporto con il tessuto territoriale. – IL VIDEO INTEGRALE DEL PANEL
Gli esports possono essere importanti per le società sportive “per entrare in contatto con quel tessuto territoriale locale che magari non riesce a essere rinnovato”, considerando che “chi pratica sport e esports, ragazze e ragazzi, vuole farlo in compagnia.”
Sono alcuni dei passaggi più interessanti del panel “Esport e Lavoro: competizione virtuale, nuove strategie di gioco e avanzamento digitale”, realizzato oggi, 15 giugno, dalle nostre testate GiocoNews e Esportsmag nell’ambito dell’ultima delle tre giornate dell’evento We Make Future 2024 a Bologna.
Il panel, moderato dal direttore di GiocoNews e Esportsmag, Alessio Crisantemi, proponeva una serie di interventi di esperti del settore per far maggior chiarezza su quelle che sono le sfide e le opportunità che derivano dalla crescita del settore esportivo registrata negli ultimi anni, esaminando come l’esport stia plasmando i ruoli e le carriere dei giovani professionisti di oggi.
A dare il via alle danze ci ha pensato Vittorio Andrea Vaccaro, vicepresidente del Coni Emilia-Romagna, e scientific director della Regional School of Sport presentando un’indagine realizzata dal Coni dell’Emilia Romagna, basata su un questionario di 180 domande, dalla quale emerge che “chi pratica sport e esports, ragazze e ragazzi, vuole farlo in compagnia.”
“In una società che impone in molte occasioni, per tanti motivi, di star da soli”, spiega Vaccaro, “c’è tanta voglia di socialità, e questo significa che gli impianti sportivi devono, o dovranno avere in futuro, anche degli spazi per gli esports.” Andando nel dettagli dei dati, tra le curiosità, emerga che “gli esports siano molti diffusi tra gli under 14 (64,71 percento del campione), tra i 15 e i 18 scende (al 18,52 percento) per poi risalire tra i 19 e i 30 anni (fino al 30 percento), dati che lasciano un interrogativo sul quale si potrebbe indagare.” Sottolinea quindi Vaccaro che “praticano esports il 16 percento degli intervistati, e di questi il 10,66 percento dichiara che gli esports potrebbero diventare un’attività lavorativa, credo dunque che, guardando quello che offre oggi il mercato del lavoro, e soprattutto guardando al futuro, ci sia una crescita potenziale molto importante.”
A delineare il campo di ricerca che portato alla realizzazione dell’indagine ci pensa Emanuela Maio, researcher, University of Parma, che illustrando il progetto di ricerca, che ha coinvolto anche società sportive e organizzatori di eventi, finanziato dal ministero dell’Università e della ricerca, annuncia che “è già in preparazione un’indagine ancora più specifica.”
“Questo questionario”, spiega la ricercatrice “è incentrato su salute e diritti umani, perché a prescindere dalle varie opinioni, c’è molta vicinanza tra sport e esports. La questione che a noi interessa è una tutela dal punto di vista giuridico, per dare un’immagine a tutto tondo.”
La prima voce del settore è quella di Simone Mingoli, co-owner & Ceo dell’organizzazione esportiva Dsyre, il quale sottolinea che occorra abbattere una serie di luoghi comuni, come l’isolamento di chi fa esport, che non sono più al passo con la realtà di oggi. “Social connection e community, ossia la voglia di stare assieme, sono tra i primi motivi che spingono a fare esports, come la possibilità di competere e la capacità di relazionarsi per dare sfogo alle proprie capacità e il potenziale, anche dal punto di vista psicologico, che c’è nel videogioco.”
Spiega quindi che “prendiamo tanto dagli sport tradizionali, cercando di creare, con gli esports, l’impianto di base che permette ai ragazzi di crescere e professionalizzarsi, lavorando su dettagli e su macrovisioni che delineano cosa si deve e cosa non si deve fare. Non si parla più di ragazzi che decidono di giocare per passione, ma di professionisti che lavorano costantemente per migliorare le proprie abilità.”
Federico Brambilla, Presidente e co-fondatore Exeed, sottolinea come esports e sport siano due mercati completamente diversi. “Abbiamo, in Exeed, 43 persone che vivono di questo”, spiega. E racconta di come sia nata la connessione tra la sua organizzazione e il calcio reale, con “Adidas, sponsor del Cagliari, che chiedeva alla società calcistica di sviluppare una sezione esports per entrare in contatto con un target specifico. Così siamo arrivati a gestire la sezione esports di cinque club di calcio (Cagliari, Lecce, Torino, Verona, Fiorentina), che dalla prossima stagione saranno sette”. Ammette che la mancanza di una regolamentazione specifica “può anche essere un bene”, e lancia un alert sottolineando che “il fatto che ci possa essere una regolamentazione può un enorme potenziale per il mercato e per le aziende italiane, come anche rivelarsi un autogol.”
Per le realtà sportive locali, spiega Brambilla, gli esports possono essere importanti “per entrare in contatto con quel tessuto territoriale che magari non riesce a essere rinnovato, magari perché i giovani non si interessano più molto al calcio, perché hanno altri interessi. C’è tanta contaminazione sana, c’è tanta professionalizzazione sana ed è molto interessante che questo fenomeno venga preso dai principali mercati mondiali, perché noi qui, in Italia, non ci stiamo inventando nulla, stiamo solo sviluppando cose che già esistono altro, negli Usa, in Francia e in Spagna, cercando di replicarle e portarle anche nel nostro Paese.”
Di regolamentazione parla anche Alberto Simonetti, policy & public affairs manager di Iidea Association. Rappresentando la parte del settore che realizza la base delle competizioni, il videogame, e ne detiene i diritti, vede con interesse lo sviluppo di un movimento che “non ha una regolamentazione specifica, sulla quale si sta lavorando, ma che può contare sulla copiosa normativa che è a disposizione di chiunque fa impresa. Ma anche i principali mercati esports del mondo non hanno una regolamentazione specifica”, spiega, “fa eccezione la Francia, con una normativa approvata ancora nel 2016, ma con la ratio di distinguere gli esports dal gioco d’azzardo e dalla disciplina sportiva.”
Sempre in merito alla regolamentazione Simonetti auspica che arrivi, ma che non sia troppo pressante nei confronti di “un settore ancora giovane e emergente, in modo che non svantaggi rispetto ad altri Paesi dove gli esports sono più sviluppati. Il disegno di legge del senatore Marti (Lega) è apprezzabile, cerca di guardare alla tutela dei minori ma introduce anche misure che possono aiutare lo sviluppo del settore. Importante la possibilità di dare dei visti a chi partecipa a eventi internazionali, e anche il tema delle condizioni contrattuali di questa nuova categoria di lavoratori”, ma trova interessante anche la risoluzione proposta da Caso (M5S) alla Camera. Sottolinea come l’eta media di chi pratica esports sia di 28 anni, ma attualmente in crescita.”
E chiude evidenziando che “resta il nodo legato alla proprietà intellettuale dei videogiochi, che rende difficile inquadrare gli esports come altre discipline sportive”, cosa che rendere necessaria, anche in fase di regolamentazione, la “ricerca di un equilibrio”.
IL VIDEO INTEGRALE DEL PANEL REALIZZATO DA ESPORTSMAG E GIOCONEWS