Parafrasando l’inizio di tanti celebri barzellette si torna a parlare di eSports e politica. Se ipotizzassimo di scrivere una nuova, attuale, barzelletta sugli eSports, chi tra uno spagnolo, un danese e un italiano finirebbe, magari con un comportamento bizzarro, con lo strappare una risata? Probabilmente state già pensando tutti alla stessa cosa, ma andiamoci cauti. Il discorso, oggi, può e deve essere diverso.
Dunque, la scorsa settimana due interviste a importanti membri dei governi di Spagna e Danimarca hanno posto nuovamente l’accento sul rapporto tra eSports e politica. Nulla di definitivo, ma sono segnali che la politica spagnola e quella danese hanno un interesse concreto.
In Spagna a pronunciarsi sul gioco competitivo è addirittura il premier Pedro Sànchez. Lo ha fatto in una intervista (della quale abbiamo riportato ampi stralci) realizzata a pochi giorni dalle elezioni che hanno poi portato alla sua rielezione. Il Primo Ministro iberico ha confermato che la regolamentazione degli eSports è nel suo programma di governo, riconoscendo che si tratta di un fenomeno importante, con tante potenzialità anche a livello educativo. Per la Danimarca la voce più recente è quella del Ministro della Cultura, Mette Bock, dopo la presentazione, a fine aprile, della strategia per gli eSports che il Governo danese intende perseguire. Una strategia basata sulla creazione di un panel a disposizione delle organizzazioni danesi per garantire alla Danimarca una posizione da leader sulla scena del videogioco competitivo internazionale. Parole “nuove” per la scena del gioco competitivo: educazione, strategia.
E in Italia? Già, l’Italia, politicamente, è sempre alla rincorsa. Difficile trovare, da noi, politici che sappiano pensare in grande, concentrati come sono a spararla grossa (in questo tanta colpa è anche nei media, che avidi di notizie danno risalto alle tante “sparate” alla pari delle poche “azioni concrete”). Dopo un ex Ministro dello Sviluppo Economico (Carlo Calenda) che vede il videogiocare solo come una via inesorabile alla “solitudine culturale ed esistenziale”, abbiamo anche figure più “illuminate”, come quella di Vito Crimi, sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri con delega all’editoria, che qualche settimana fa ha confermato a noi di Esportsmag la sua attenzione personale e quella del Governo italiano per il mondo videoludico.
I risultati sempre più importanti di alcuni nostri campioni, e i piazzamenti notevoli in campo internazionale di organizzazioni come Campus Party Sparks, Samsung Morning Stars, Qlash e Pro2Be eSports (per citare solo quelle che più di recente hanno fatto parlare di sé), portano più visibilità, anche mediatica, e c’è da sperare che pure l’occhio della politica si accorga definitivamente degli eSports. A livello organizzativo le tematiche sempre in sospeso (che non possono essere lasciate alla gestione delle singole Org) sono l’inquadramento dei giocatori nei team, i contratti, la gestione dei premi, e occorre anche pensare a politiche di incentivo per comportamenti virtuosi, per la lotta al doping e al match fixing, al bullismo. Ma i motivi per cui la politica dovrebbe interessarsene sono soprattutto altri.
Perché sia chiaro, l’eSports italiano nel frattempo va avanti comunque, grazie all’impegno, alla serietà e alla passione di tanti professionisti che animano la scena e l’hanno portata ai livelli attuali. Ciò che dovrebbe fare una buona politica non è una regolamentazione limitante, ma gestire e agevolare nuove opportunità per far brillare sempre più le potenzialità di questo settore. Un punto di partenza? Considerare gli eSports una opportunità in più da offrire anche a livello sociale, scolastico ed extra scolastico. Cambiare prospettiva e capire che “fare eSports” può essere una potenzialità di utilizzo del videogioco che sconfigge la “solitudine culturale ed esistenziale”. Questo dovrebbe interessare a una buona politica. La forza e la determinazione del campione emerge sempre e comunque, la politica, invece, può e deve agevolare tutto il resto.