Ora che anche l’Italia ha una sua discreta dimensione esportiva si possono meglio evidenziare alcune grandi differenze tra l’esports nostrano e quello extraconfine. Si parla tanto di paesi più maturi, con storie più lunghe alle spalle, team più imponenti e organizzati, con strutture più ampie, gaming house importanti, campioni affermati, ma soprattutto partnership importanti e strategie comunicative capaci di attirare i media.
Ok, tutto vero. In Italia siamo qualche anno indietro, lo abbiamo già detto e lo sentiamo ripetere in ogni occasione, ma per non restare ulteriormente indietro serve muoversi, probabilmente fin da subito, e soprattutto ad un livello ben preciso: quello della comunicazione. Il passaggio delle informazioni è essenziale per chi si occupa di veicolare le informazioni; serve a capire il “chi” e il “cosa”, ma soprattutto il “quanto vale”. Lasciamo stare che certe cose dovrebbero farle i professionisti: i professionisti, si sa, vanno pagati e magari, per qualcuno, ancora non è il momento di aprire un settore comunicazione. Va bene dunque far le cose “in casa”, considerando tuttavia, che si percorre una strada piena di bucce di banana.
Di fronte a questo c’è, oggi, innanzitutto un grande nemico: i social network. “Ma come?”, mi si dirà, “i social, la forma di comunicazione più immediata, più libera e democratica che il mondo abbia mai conosciuto, quella che va contro censure e dittature… come può essere un nostro nemico?”. Eh, già, sono un nemico perché fa male abituarsi a parlare sempre e solo tramite un sistema non mediato (che non significa “non controllato”, ma significa “privo di una controparte che fa da filtro e sistema le informazioni“); abituarsi a questo porta spesso a dimenticare, o tralasciare, fette di informazione importanti.
Le prime lezioni di giornalismo solitamente puntano sul fatto che un articolo qualsiasi deve rispondere alle cinque domande fondamentali, le famose 5 W anglosassoni che in italiano diventano “chi?”, “cosa?”, “quando?”, “dove?”, “perché?”. Basterebbe tenere a mente questo. Non perché così piace ai giornalisti, ma perché queste sono le basi di una corretta informazione. Altrimenti non si sta dando una notizia.
Altra regola, più interna alle redazioni, ma comunque utile da conoscere, è quella che le notizie che hanno risalto sono sempre quelle che hanno a che fare con le famose 3 S, che corrispondono a “sangue”, “sesso”, e “soldi”. Ok, i primi due concetti esulano dal nostro contesto, ma il terzo no. Ecco qui il secondo grande nemico: la timidezza. Sembra banale, ma a parte qualche cifra relativa ai montepremi, in Italia, al momento è difficile cavare un ragno dal buco. All’estero è diverso. Non sempre, ma in molti altri paesi capita meno spesso di trovare annunci di partnership che parlano solo di quanto è bello aver fatto una partnership.
Quante volte leggiamo di nuovi accordi, di nuove sponsorizzazioni, e non si trova nessun riferimento a cosa è stato messo sul piatto? Dobbiamo intendere che si tratta di puro baratto? Tipo: “io ti do 5 magliette e 3 paia di scarpe e tu le metti come seconda pelle ai tuoi player per i prossimi 3 anni”? Ok, ma anche fosse così sicuramente lo sponsor avrà fatto una stima dell’investimento e una cifra, da qualche parte, sarà pure scritta.
Probabilmente si tratta di cifre ancora piccole, e qualcuno può essere che si vergogni anche a dirle in giro. Mettiamoci pure che il paragone con i fiumi di dollari di altre sponsorizzazioni sarebbe troppo facile (ahi quella parola, “sport”, com’è ingombrante a volte). Ma nessuno si deve dimenticare che il mondo videoludico è appunto ancora all’inizio, che si ragiona di una economia piccola ma che anche in Italia sta acquisendo dignità.
L’ulteriore passo per crescere è avere il coraggio e la capacità di mettere le cose in chiaro: “abbiamo intascato X!”. Qualche mese fa mi ha contattato una persona interessata ad investire negli esports in Italia. Gli ho indicato qualche nome da cui partire e da lì ha iniziato la sua ricerca, da persona competente in materia. Giorni fa gli ho chiesto come era proseguita la sua ricerca, e la risposta è stata: “sono in stallo”. Ma come, eri così deciso…? E lui, solitamente pacato e moderato nei termini: “Guarda, a parte rarissime eccezioni non si trovano informazioni, la legislazione poi, è un casino, insomma, in Italia non si capisce un cavolo”.
Ecco, è urgente fare chiarezza. Già a livello legislativo abbiamo molta strada da fare, ma quella compete ad altri ambiti e si può solo stimolare chi dovere ad agire presto e bene. Come farlo? Lo si può fare, appunto, con una comunicazione chiara e precisa. Priva di buchi e di timidezze. Una comunicazione che semplicemente faccia capire il “chi” e il “cosa” (assieme alle altre tre…), facendo percepire chiaramente il valore effettivo che ha quello di cui si parla.
Poi, un giorno, parleremo anche di altre cifre. Gli zeri si aggiungeranno parallelamente alle soddisfazioni competitive e alla crescita di tutto il sistema. Ma ora non è più tempo di timidezze, anzi. Serve il coraggio per far capire al resto del mondo quando l’esports realmente vale. Nel frattempo, seriamente, tanto di cappello a chi, in Italia, oggi, facendo esports riesce ad avere 5 magliette e 3 paia di scarpe: significa che stanno facendo bene, e che stanno lavorando anche per tutti gli altri!