La politica ignora gli esports, e forse non è un male

L’Italia non è pronta per gli esports, almeno dal punto di vista politico. Lo abbiamo capito mercoledì scorso, 26 giugno, con il siparietto alla Camera dei deputati che ha visto protagonisti Alessio Butti, di FdI e Daniele Belotti, della Lega. L’aula doveva accogliere l’emendamento presentato da Butti, con i colleghi di partito Federico Mollicone e Paola Frassinetti, primo documento politico che portava gli esports, e la necessità di una loro regolamentazione, dentro al Parlamento Italiano.

Al momento della presentazione dell’emendamento al Decreto Legge Ordinamento Sport è stato proprio Butti ad accorgersi che il documento riportava la parola “sport”, senza la “e” che identifica la sua versione elettronica dello sport. Un errore tipografico (così è stato definito) che, vista anche la posizione di chiusura da parte del relatore, Daniele Belotti, ha portato Butti a ritenere che fosse inutile proseguire la discussione, annunciando il ritiro dell’emendamento.
Ora, Alessio Butti (nella foto che segue questo paragrafo) ha ritirato un emendamento che toccava anche molti altri temi, tra i quali una ridistribuzione dei diritti tv della Serie A di calcio (attualmente regolamentati dal Legge Melandri, modificata da Lotti a inizio 2019), ma ha promesso un Ordine del Giorno per non perdere completamente il lavoro fatto. In attesa di capire se l’Odg sarà speculare all’emendamento, e conterrà nuovamente la parola esports o si limiterà alle tante altre tematiche relative all’Ordinamento sportivo del nostro Paese, si possono comunque fare alcune considerazioni.
Col senno di poi, infatti, si può anche provare a pensare che, in fin dei conti, probabilmente è meglio così: è meglio che l’emendamento Butti sia stato ritirato. Sia chiaro, gli esports, in Italia, hanno bisogno dell’attenzione della politica. Servono regolamentazioni generali e particolari per poter consentire a tutto questo mondo di svilupparsi a dovere come in altri paesi. Ma serve che la politica ci metta mano seriamente, perché i danni di un intervento parziale, incompleto, l’intero sistema li ripagherebbe poi nel tempo per anni e anni.
Possiamo immaginare che se la proposta di Butti fosse andata in porto così, ora, modificando il Decreto legge sull’Ordinamento sportivo, poi la politica, che ha dimostrato di saperne ben poco, avrebbe avuto dalla sua la scusa per dire “abbiamo già dato”. Butti proponeva l’introduzione della figura del Lavoratore negli esports, regolamentando in sostanza i rapporti di lavoro tra player (o altre figure professionali in ambito competitivo) e team e associazioni.
Molte altre questioni sarebbero comunque rimaste aperte, e chissà per quanto. Dalla necessità di regolamentare i tornei e la creazione e distribuzione dei montepremi, a quella relativa all’inquadramento delle squadre, che attualmente vede molti soggetti inserirsi utilizzando le sembianze della ASD (Associazione sportiva dilettantesca), che consente di usufruire su agevolazioni fiscali ma di contro obbliga a non avere alcun scopo di lucro.
Nella sua rigidità Daniele Belotti (foto qui sotto), ha fatto probabilmente un regalo agli esports. “Diciamo che è un po’ prematuro per gli eSportha dichiarato in aula, rispondendo a Butti, dimenticando però di esplicitare il ‘cosa’ sia prematuro -, poi ognuno può giudicarli come vuole, io sono sempre un po’ tradizionalista e definire uno sportivo uno che sta lì a smanettare davanti al computer magari non è proprio la mia idea di sport“.
Bene, tutto resta come prima. Meglio così. Meglio ripartire da zero, magari riprendendo il lavoro notevole fatto da Butti, Mollicone e Frassinetti, utilizzandolo però per alzare l’asticella e ottenere un vero riordino complessivo che tocchi tutti gli aspetti principali. Serve chiarezza per pro player e dirigenti, per coach e cuochi, soprattutto serve chiarezza per chi, nell’esports italiano, vuole investire, e attualmente teme soprattutto la poca chiarezza normativa.
Ben venga dunque quella “e” mancante nell’emendamento. Ha permesso di sollevare un po’ di polvere, ha permesso di creare un po’ di curiosità dentro e fuori al Parlamento, ha permesso agli esports e a chi li sostiene di capire che la strada da fare è ancora tanta, ma che qualcuno comincia a capire che il movimento è serio, e che definire uno sportivo uno che sta lì a smanettare davanti al computer magari un giorno anche in Italia potrà diventare realtà.
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