Incredibile ma vero: “tutto è nato con Gangnam style”. Nasce da un tormentone di qualche anno fa Gamindo, l’idea “rivoluzionaria” che abbina il videogioco alla beneficenza. Due concetti distanti che però un giovane manager italiano ha trovato il modo di coniugare chiedendosi: “E se fosse possibile convertire il tempo che spendiamo giocando sullo smartphone in donazioni agli enti non profit?”

L’idea di Gamindo si sviluppa dalla tesi di laurea in Economia di Nicolò Santin (a sinistra nella foto di copertina), dal titolo “Gamification e advergaming, the case study Ofree”, con la quale il giovane trevigiano convince il suo primo socio, Matteo Albrizio (a destra nella foto di copertina), a dimettersi dal suo lavoro e a fondare insieme la società composta interamente da under 30. I due iniziano fin da subito a ottenere numerosi riconoscimenti: il Premio Nazionale Innovazione in Senato Italiano, il prestigioso Seal of Excellence della Commissione Europea, fino ad andare in Silicon Valley, dove Gamindo viene accelerato tre mesi in Plug and Play. Oggi il team, composto da 8 ragazzi sparsi in tutta Italia (da Milano a Napoli, passando per Treviso e Roma), annuncia l’uscita ufficiale della piattaforma, attraverso la quale è già possibile donare le proprie “gemme” a diversi enti non profit, tra cui l’Ospedale dei Bambini Buzzi di Milano ed Emergency.

In occasione della presentazione alla stampa di Gamindo, qualche giorno fa, abbiamo avuto modo di fare due chiacchiere proprio con il suo ideatore, Nicolò Santin, ora amministratore delegato della società, che ci ha raccontato alcuni curiosi retroscena della sua creazione. “Stiamo assistendo ad una crescita esponenziale del mercato del gaming, un mercato più grande di quello del cinema e della musica messi insieme – ricorda Santin -, con fenomeni come Fortnite o Candy Crash e con oltre 2,3 miliardi di videogiocatori nel mondo. Proprio per questo nasce Gamindo”, che si regge grazie agli investimenti pubblicitari effettuati dalle aziende che si promuovono all’interno dei giochi di Gamindo.

Nicolò, ci puoi raccontare come è nata l’idea di Gamindo, dove hai trovato la scintilla che ha portato ad abbinare gioco e beneficenza? C’è qualche aneddoto curioso?                                                                                                                  L’origine dell’idea è un po’ bizzarra. È tutto nato con Gangnam Style. Ricordo di aver letto un articolo in cui si diceva che l’artista PSY aveva guadagnato diversi milioni di dollari, per gli introiti pubblicitari presenti su YouTube, dopo il primo miliardo di visualizzazioni della canzone. Ho così pensato: creo un video, convinco la gente a guardarlo dicendo “guardalo non ti costa nulla, ma i soldi degli introiti andranno in beneficenza” e dono tutto ad uno o più enti. Far guardare un video però non è semplice. Farli divertire, con un videogioco, lo è molto di più. Sono da sempre appassionato di videogiochi e quando all’esame di marketing ho scoperto gli advergame (videogiochi brandizzati creati dalle aziende per promuoversi) ho pensato che fossero il mezzo ideale per far donare le persone senza spendere. Da lì, ho scritto la mia tesi di laurea proprio su questo argomento. Ero talmente motivato e curioso di studiare questo argomento che ho finito per scrivere 700 pagine, raccogliendo 2500 questionari grazie ai miei cuginetti di 12 anni che si sono messi una t-shirt in spiaggia con scritto “Se compili un questionario, ti regaliamo un sorriso” “

Quando hai capito che l’idea era realizzabile concretamente?                                Nel momento in cui ho conosciuto Matteo Albrizio, il mio socio. Subito dopo essermi laureato mi sono accorto che non bastava un 110 e lode in Economia per poter realizzare un’idea. C’era bisogno di persone competenti e motivate. Da quando ho conosciuto Matteo, ingegnere aerospaziale e con delle competenze straordinarie, ho capito che l’idea poteva essere messa a terra. Tra l’altro dopo poco io e Matteo abbiamo scoperto che abbiamo frequentato lo stesso liceo scientifico e che le nostre due squadre di basket erano acerrime nemiche. Assurdo. In ogni caso, credo che l’idea sia solo l’1%. Chiunque può pensare belle idee. Il restante 99% è realizzarla, e per farlo è fondamentale trovare le persone giuste.

Hai trovato difficoltà, ostruzionismi, e in tal caso, come hai reagito?          Assolutamente si. Sui social network emerge solo la punta dell’iceberg, quella fatta dei successi e dei riconoscimenti. Sotto, in realtà, c’è molto lavoro e sacrificio. Una delle difficoltà che abbiamo incontrato è stata sicuramente la nostra giovane età, e quindi la mancanza di esperienza in determinati campi. Per questo motivo, infatti, ci siamo accerchiando di advisor di un certo rilievo che ci possano guidare lungo il nostro percorso. Un’altra difficoltà a cui abbiamo dovuto far fronte è che molte persone continuano a vedere i videogiochi come una minaccia per l’umanità. Si continua a credere che il videogiocatore sia il ragazzo di 15 anni che si rinchiude in camera da letto e gioca per 10 ore al giorno. Non è così. L’età media del videogiocatore è 34 anni e ci sono più di 2 miliardi di videogiocatori nel mondo. Il gaming non deve essere più visto come una minaccia ma come un’opportunità. Con Gamindo, infatti, tramite il gaming vogliamo permettere a chiunque di donare senza spendere e divertendosi.

Ora parte la piattaforma Gamindo, vi siete posti qualche obiettivo, e se sì, di che tipo?                                                                                                                              Il nostro obiettivo è la nostra mission: permettere a chiunque di donare senza spendere e divertendosi. Quando sono partito avevo dichiarato ad una giornalista “Voglio donare un miliardo entro il 2020”. A prescindere che riuscirò a farlo entro la fine dell’anno o in un paio di anni, sicuramente quella è la prima grande milestone che io e Matteo ci siamo messi. Noi non facciamo altro che convertire il budget di marketing in CSR. Non è un obiettivo irrealizzabile se stima che ogni anno vengano spesi oltre 500 miliardi di dollari in pubblicità, è un mercato gigantesco. Siamo perfettamente consapevoli che si tratta di un progetto molto ambizioso, ma è proprio questo che ci motiva ogni giorno a dare il massimo.

La piattaforma permette anche interazioni tra gli utenti e/o “competizioni”?Assolutamente si. Nell’ultimo aggiornamento abbiamo inserito la sezione delle Sfide, dove è possibile lanciare la sfida ad un altro utente della piattaforma. Si gioca in maniera asincrona e chi fa il record si prende tutte le gemme. Questa è solo la prima di una serie di meccaniche che stiamo inserendo per portare sempre più interazioni tra gli utenti.

Hai studiato il fenomeno del gaming legato al mondo dell’advertising, poco fa citavi la crescita esponenziale del mercato videoludico. Ora, uno degli utilizzi più attuali del videogioco è quello competitivo, cosa pensi degli esports? Hai esperienza in merito?                                                                                                    Penso che sia un mercato che sta crescendo moltissimo e sono sicuro che siamo solo agli inizi. Personalmente preferisco giocare piuttosto che guardare gli altri giocare. Odio vedere i miei amici giocare a FIFA o altri giochi alla console quando non è il mio turno del torneo, giusto per intenderci! Scherzi a parte, sono sicuro che gli esport siano una delle forme principali di intrattenimento che caratterizzeranno il prossimo decennio.

Attualmente stai lavorando a qualche altro progetto? Nel caso puoi anticiparci qualcosa?                                                                                                                Assolutamente si. Io e Matteo abbiamo la mente che non si ferma mai e pensiamo sempre a nuovi test da fare. L’ultimo è un sito dove creiamo un Flappy Bird con la tua faccia al prezzo di una birra. Il sito è www.wemakeflappy.com Ogni iniziativa non è fine a se stessa ma nasce con uno scopo ben preciso. In questo caso stiamo testando la disponibilità delle persone di acquistare un gioco personalizzato. Con Gamindo infatti il nostro target sono le aziende, ma ci stiamo chiedendo se in futuro potranno essere anche le persone stesse a voler un advergame di loro stessi. Nel mondo dei social ormai ognuno di noi è sempre più un brand, interessato a farsi conoscere e a promuoversi.