Il 26 marzo, con 348 voti favorevoli, 275 contrari e 36 astenuti, il Parlamento europeo ha approvato la nuova direttiva sul copyright. Sarà la base sulla quale, entro il 2021 ogni stato membro potrà stilare la nuova norma che sostituirà la vecchia regolamentazione sul diritto d’autore. Il digitale, i nuovi modelli di business, le nuove modalità di fruizione e condivisione dei contenuti da parte degli utenti (e soprattutto delle piattaforme che consentono, questa condivisione, guadagnandoci) sono i “nuovi” elementi che hanno spinto ad una revisione di una direttiva risalente al 2004 (2004/48/EC – IPRED), rivista poi nel 2007 (IPRED2), quando il mondo, digitale e non, era molto diverso.
Come ogni volta, anche in questa occasione non sono mancate le grida di allarme da parte di chi teme che qualcuno possa mettere il bavaglio alla rete, che seppur con i suoi chiaroscuri, è strumento e luogo della moderna libertà di pensiero. Se da un lato emerge la necessità di tutelare editori, autori e artisti, dall’altro sorgono legittimi dubbi sugli strumenti utilizzati che, ponendo controlli in ingresso sulla rete possono facilmente minare la libera espressione del pensiero.
Occorre premettere che il cammino è ancora lungo e potrebbe riservare altre sorprese. La direttiva avrà un altro passaggio in sede europea prima che ogni singolo Stato membro possa avviare l’iter, nei due anni successivi, per decidere se e come tradurre la legge quadro europea in una norma (potremmo anche avere norme diverse, Stato per Stato). Peraltro sarà da vedere, da qui a due anni, come cambierà la realtà di riferimento alla quale le nuove norme dovrebbero applicarsi (sperando che non nascano già vecchie).
Nel frattempo, uno degli aspetti che più ci interessano, è il modo in cui la normativa, se approvata nella versione ratificata il 26 marzo scorso, può influire sulla vita degli utenti, e in particolare con quelli che hanno a che fare con videogiochi competitivi e non. Una delle attività più in voga, infatti, è il game streaming, la trasmissione di sessioni di gioco utile per farsi conoscere, per conoscere e interagire con altre persone, per illustrare, spiegare o/o insegnare a giocare ad un determinato titolo, e perché no, anche per pubblicizzarlo. Come possono sposarsi tutte queste attività con l’articolo 13 della nuova direttiva (secondo il quale le piattaforme online dovrebbero esercitare un controllo su ciò che viene caricato dai loro utenti, cosa che Youtube già fa, ad esempio).
L’articolo 13 è quello che preoccupa di più gli internauti (quasi quanto l’art. 11 preoccupa i piccoli editori). Se le piattaforme dovessero ritenere insostenibile quanto loro richiesto dall’art. 11, i primi a rimetterci sarebbero infatti i piccoli editori (che dalla condivisione in rete ottengono anche pubblicità). Allo stesso modo se l’art. 13 fosse applicato alla lettera, la scure della censura potrebbe farsi tagliente (e pesante). Un’analisi presentata nei giorni scorsi da un articolo della BBC presenta uno scenario tutt’altro che rassicurante, soprattutto nei primi tempi: il rischio è quello di una costante mancanza di certezza legale e commerciale che potrebbe portare all’immobilismo (o a scegliere la soluzione più dura) fino a quando non vi saranno sufficienti casi passati in giudizio; solo i cosiddetti precedenti potrebbero spianare la strada alla direttiva, ma quanti anni ci vorranno?
Viene da chiederselo soprattutto per casi complessi come quelli dei player che condividono il proprio gameplay su servizi di streaming video come Twitch e YouTube. In un singolo videogioco infatti coesistono quasi sempre più diritti d’autore: il programma, la grafica, la musica, il dialogo, la narrazione. Sarà richiesta un’autorizzazione per ognuno di questi? E come verranno visti i prodotti intellettuali altrui all’interno di un video che rappresenta di per sé un nuovo prodotto intellettuale tutelato da copyright?
Tutto potrebbe continuare così come ora (e molto probabilmente sarà così). Oggi i publisher non creano problemi a chi streamma, anzi, a volte stringono accordo con gli streamer stessi e alimentano la produzione e la pubblicazione di video che costituiscono comunque ottimi veicoli promozionali. Nella maggior parte dei casi oggi si procede secondo un tacito laissez faire da parte dei publisher, considerata la relazione win-win, ma siamo sicuri che qualcosa non possa cambiare in futuro? E se durante lo streaming arrivasse una severa stroncatura per il gioco o si evidenziassero aspetti che possono arrecare danni di immagine? Già ci sono stati esempi (vedi Nintendo) nei quali solo di recente si è ammorbidita la politica restrittiva, anche perché poco conveniente proprio a livello d’immagine. La realtà però cambia, come abbiamo visto, anche molto rapidamente, e così com’è, in caso di “incomprensioni”, l’articolo 13, “condannerebbe” gli streamer al silenzio.