Quando mi è stato proposto di curare una rubrica dedicata alle donne nel settore degli esports, la mia prima reazione è stata entusiastica, seguita subito dopo dalla legittima preoccupazione che si rischiasse di cadere nella solita retorica femminista. In fondo, ho pensato, i tornei di videogiochi sono aperti a tutti. Tutti possono iscriversi liberamente alle maggiori competizioni professionistiche, indipendentemente dal proprio genere. Inoltre, poiché si basano principalmente sulle abilità mentali dei giocatori, chiunque può competere ad armi pari per la vittoria di un ricco montepremi.
Eppure, occorre fare alcune riflessioni: nonostante l’accoppiata donne ed esports sia una realtà sempre più concreta, c’è ancora chi la considera un ossimoro. Il sessismo è sempre stato presente nel settore, a volte in maniera conclamata, altre in maniera strisciante. Basti pensare che per proteggersi da insulti e offese durante le partite, molte giocatrici preferiscono nascondersi dietro ad avatar o nickname maschili.
Per comprendere meglio quale sia la situazione delle giocatrici nel nostro Paese, può venirci in soccorso una recente indagine realizzata dall’Osservatorio Italiano Esports in collaborazione con Demoskopea Consulting. Un report prezioso per comprendere le caratteristiche del target femminile, che oscilla tra un senso di inclusione e un desiderio di affermazione nel settore.
Sviluppata su un campione di circa 1000 utenti provenienti da tutta l’Italia, la ricerca parte da un dato confortante: la maggioranza dell’audience femminile, pari al 35% del pubblico esports totale, considera il movimento abbastanza o molto inclusivo (57%). Solo il 4% si sente totalmente escluso. Fin qui tutto bene. Ma ecco che arrivano le dolenti note.
La discriminazione colpisce un’appassionata di esports su tre. Inoltre esiste un divario tra i gamer dei due sessi per quanto riguarda gli sponsor: quelli disposti a sostenere le giocatrici sono carenti. La seconda causa individuata a giustificazione del gap tra i due sessi è la preponderanza di player e creator maschi (42%). Quest’ultimo dato trova una spiegazione nel trattamento che molte giocatrici e content creator sono costrette a subire su YouTube e Twitch durante le sessioni di gioco: il 32% delle intervistate ammette di esser stato offeso o discriminato. Un problema, questo, che ha indotto molte donne ad abbandonare le piattaforme da gioco.
Alla luce del dato numerico nudo e crudo appare evidente come il settore abbia bisogno di uno scossone che aiuti la componente femminile presente nel gaming e negli esports a trovare un riscontro nella scena professionistica. In uno scenario come questo, fatto di luci e ombre, anche una rubrica giornalistica può servire ad accendere i riflettori sulle donne e sulle loro richieste per un settore più rappresentativo.