Dragon Age: The Veilguard non è solo il ritorno di BioWare ma un segnale che il mondo dei GDR si sta evolvendo, scopriamo come nella nostra recensione.
Molto era sulle spalle di BioWare il giorno del lancio di Dragon Age: The Veilguard perché questo titolo non è solo la continuazione di un franchise fermo da 10 anni, ma è rapidamente diventato sinonimo, nelle menti dei fan storici della serie, del riscatto di dell’iconica software house dopo lo scivolone di Mass Effect Andromeda e il disastro di Anthem.
Dopo più di 60 ore in compagnia di Rook (il nostro personaggio giocabile), dei suoi sette comprimari (tutti corteggiabili), e dei cattivi di questo capitolo, possiamo dire che Bioware è riuscita a ritirare fuori il suo spirito ruolistico facendo persino evolvere il concetto di videogioco di ruolo.
Dragon Age: The Veilguard nasce come progetto live service diversi anni fa che, a un certo punto, è virato verso l’esperienza per giocatore singolo monumentale e piena di attività secondarie. Ciò che il gioco è stato, però, è evidente durante la progressione: le mappe esplorabili sono pensate per farci ritorno, le attività di missioni primarie e secondarie vi riportano il luoghi già visitati e l’intero gioco ruota attorno a un hub principale in cui si trovano la propria stanza e i comprimari con cui chiacchierare.
L’altra cicatrice live service di Veilguard è la sua poca personalizzazione della trama che, indipendentemente dalle scelte del giocatore, è diretta verso una direzione ben precisa. Non ci sono allontanamenti permanenti dei compagni, aree o filoni narrativi bloccati e missioni che diventano inaccessibili. Le vostre scelte hanno delle conseguenze che, però, non sono mai definitive, potrebbero rendere alcuni obiettivi più semplici o complessi da raggiungere, ma nulla di cui potreste pentirvi.
Giudicherete voi se questa scelta sia una corruzione di ciò che la BioWare ha fatto in passato o se sia una soluzione per chi ha paura di fare la scelta sbagliata e teme di dover ricominciare il gioco perché si è per sempre precluso una via che voleva percorrere. Noi abbiamo avuto la sensazione, giocando a Veilguard, di essere sempre liberi di scegliere proprio perché non potevano esserci delle conseguenze drammatiche alle nostre azioni. Su questa scelta di design non riusciamo davvero a emettere un verdetto in senso positivo o negativo: per questo diciamo che i GDR si sono evoluti con Veilguard, deciderete voi se per il meglio oppure no.
Mettendo da parte il lato ruolistico per un attimo, l’altro aspetto di questo gioco che ci ha fatto divertire è stato il combattimento. L’equilibrio comodo ed efficace tra tempo reale e strategia è uno dei punti più alti dell’esperienza. Questo Dragon Age è un action in terza persona che, però, può essere congelato in qualunque momento per gestire il proprio gruppo di avventurieri, indirizzarli verso un particolare nemico o utilizzare le loro (e le nostre) abilità speciali. Questo mix, unito all’immortalità dei compagni, è una ricetta che funziona, diverte e rende gli scontri adrenalinici e mai troppo macchinosi.
Il sistema a innesco (uno status applicato a un nemico) e detonatore (un’abilità attivata) è intuitivo da apprendere e si inserisce bene nello schema di attacchi leggeri e pesanti, parate (anche perfette) e le sopracitate abilità. Ci sono sequenze da rispettare, tempi di ricarca da amministrare e sinergie da costruire in un’esperienza che, sopra ogni cosa, funziona.
Dragon Age: The Veilguard, poi, ha scelto una ricetta decisamente atipica per tutto quello che riguarda il lato estetico del gioco e qui vi basterà guardare qualche trailer per capire se è nelle vostre corde oppure no. Lo stile non è quello dei capitoli precedenti, anzi, è colorato e saturo con una strana sovrapposizione di citazioni non solo al fantasy classico, ma anche a diversi suoi sottogeneri che potrebbero far storcere il naso ad alcuni.
Anche qui noi noi abbiamo apprezzato i toni, i colori, le personalizzazioni, le atmosfere e le contrapposizioni di questo gioco, consapevoli della loro discontinuità con il passato e del loro potenziale per il futuro. La qualità c’è, è innegabile, il pubblico di riferimento, però, non è quello dei veterani della serie o dei super appassionati dei giochi di ruolo. Anche questa volta dovrete decidere voi se questo è un bene o un male.
BioWare ha superato i suoi passi falsi degli ultimi anni con Dragon Age: The Veilguard. L’esperienza che abbiamo avuto tra le mani è solida, profonda, divertente e capace di emozionare. Il lavoro che c’è stato dietro si vede e le scelte fatte in fase di design hanno un impatto significativo su come il prodotto finito lascia chi lo ha vissuto alla fine della sua storia. Se avete amato i Dragon Age del passato vi consigliamo di provarlo con la consapevolezza che è la discontinuità a farla da padrone. Se amate i giochi di ruolo in generale, anche qui potreste riuscire a spremere tanto divertimento da questa opera perché la sua formula ha qualcosa da dire, ma potrebbe non piacervi.
Se amate gli action in terza persona, invece, non potete non dare una possibilità a questo titolo perché vi ritroverete tra le mani l’esponente in assoluto più profondo del genere a livello di opzioni e variabili. E se BioWare, con Veilguard avesse creato la porta d’ingresso perfetta per il mondo ruolistico più duro e puro? Solo il test del tempo potrà darci una risposta.