INDIA – Il ban indiano a Pubg Mobile è stato emanato il 2 settembre e ora, dopo due mesi, il gioco è completamente inaccessibile ai giocatori del Paese. I server di PUBG Mobile sono stati ufficialmente disattivati. Come ha riportato il 30 ottobre scorso il portale Talkesports.com, un breve annuncio di PUBG Mobile ha annunciato l’interruzione del servizio, dopodiché i giocatori che hanno tentato l’accesso al gioco si sono trovati davanti solo un messaggio di errore che annuncia: “Accesso limitato”. L’impatto del ban è stato devastante per i professionisti e i creatori di contenuti di Pubg Mobile indiani, meno per i giocatori occasionali, che fino ad oggi, aggirando i divieti, hanno potuto comunque collegarsi ai server, al massimo con qualche remora a livello morale. Un problema che ora, con il blocco dei server, non esiste più.

BRASILE – Il jornaldebrasilia.com.br, provando a parlare di esports, interpella l’ennesimo esperto nel campo della dipendenza da videogame. Eh già! “Come sapere se la pratica degli sport elettronici è un po’ sopra le righe?”, chiede il portale brasiliano alla neuropsicologa Caroline Ramos. L’esperta spiega che i videogiochi possono diventare una dipendenza simile a quella per alcune sostanze chimiche. “L’ideale è non lasciare che la situazione vada fuori controllo, stabilire una routine, imporsi (o imporre) delle regole; il dialogo può prevenire condizioni patologiche. La tecnologia può essere un alleato nello sviluppo di bambini e adolescenti, se usata in modo moderato, ma se usata in modo eccessivo può compromettere il rendimento scolastico, le abilità sociali e lo sviluppo cognitivo”. Tra gli aspetti preoccupanti l’esperta inserisce anche la nomofobia, la paura irrazionale di rimanere disconnessi, senza dispositivi elettronici. Insomma, tutto molto interessante, ma non si capisce bene cosa c’entri con gli esports, ossia quello che all’interno nel macromondo del gaming è l’unico settore che su questi aspetti effettua già un controllo.

USA – Più interessante il pezzo che Hasnan Tagari dedica su Vocal.Media a “Come la tecnologia ha cambiato il gaming e il futuro degli esports”. Il settore, infatti, è cambiato moltissimo nel giro di pochi anni. Ora abbiamo a che fare con un’industria miliardaria, che propone console portatili e sempre più servizi in cloud. E sempre nuvole ci sono, per Tagari, anche nel futuro degli esports, ma in tal caso si parla di nuvole di altro tipo: “c’è la necessità di un buon organizzatore di tornei. In questo momento stiamo ancora aspettando che questi organizzatori facciano sentire la loro presenza, dato che saranno loro, in futuro, il cuore del settore competitivo.” Poi uno sguardo preoccupato ai protagonisti, perché “ci sono pochissimi giocatori professionisti che sono disposti a partecipare ai tornei, dato che ritengono che ci voglia troppo tempo e fatica. Ciò significa un settore ristretto, dove c’è poca concorrenza e dove spesso entra solo l’élite dei migliori”. Fino a quanto potrà continuare questo boom degli esports? E quando finirà la crescita che fine faremo? Ma c’è un altro aspetto che rende cupo il futuro degli esports secondo l’articolo, ed è l’attuale incertezza nel determinare in modo certo le prestazioni e il fatto che i titoli cambino continuamente modificando quindi il terreno su cui il pro player si muove. Non cita nessun titolo esports, Hasnan Tagari. La sua analisi potrebbe anche essere condivisibile per alcuni titoli che oggi ci sono ma domani chissà, e per altri che non riescono a garantire la necessaria affidabilità, ma oltre questo articolo c’è da considerare che esistono titoli e competizioni già molto mature, più o meno a tutti i livelli (sia quello organizzativo che quello “pratico, prettamente esportivo, così come sul piano della misurabilità e regolarità delle prestazioni, ma anche dal punto di vista del pubblico). Su una cosa siamo pienamente d’accordo con Tagari, ossia la frase con cui conclude il pezzo: “Il futuro degli esports è molto nuvoloso, ma c’è una cosa che può garantire il loro successo: la passione dei giocatori“.