I chiaroscuri della liaison tra fashion e gaming

Quanto piace il gaming al mondo della moda! Il settore del fashion, un mondo sempre alla ricerca di novità, per indole e per necessità, sembra aver scoperto improvvisamente quanto è bello giocare. Ma non un gioco qualsiasi, è infatti il settore videoludico quello con cui ultimamente il settore moda sembra aver trovato una fortunata liaison. 

Un abbinamento che, a dire il vero, è iniziato ormai da tempo, e con modalità piuttosto differenti, in base alle potenza economica e alla conoscenza del settore. Alcuni già parlano di metamorfosi della moda, e del fashion gaming come di un vero e proprio nuovo fenomeno. Così, aziende che nulla hanno a che fare con il gioco, hanno avviato una spasmodica ricerca di appigli con un settore popolato da giovani e giovanissimi, appartenenti ad una generazione ormai stanca di tutto quello che era piaciuto a chi li ha preceduti. Anche in ambito fashion.

I nuovi consumatori, i Millenials e ancora più quelli della Generazione Z, chiedono  engagement, vogliono essere protagonisti e, soprattutto, vogliono essere attivi, divertirsi, e le aziende hanno capito che l’unica tattica vincente è spostare il baricentro su di loro.  Non è un caso se gli stessi saloni di moda, e gli eventi relativi al fashion in generale, puntano a fornire anche esperienze di gioco o affini. Come farà il Micam, il Salone Internazionale di Assocalzaturifici, che il prossimo settembre proporrà ai propri visitatori anche un’Area Player Distric, con tanto di Arena all’interno.

Nel mondo del fashion però sono gli stessi brand a muoversi direttamente per organizzare matrimoni con realtà del mondo gaming, meglio se digitale. Nike lo scorso anno a Shangai ha lanciato Reactland, un ambiente virtuale dove ci si può immergere per provare i nuovi modelli; Fred Perry ha lanciato sul proprio sito una mappa simile a Google Street View, nella quale ci si può spostare e acquistare prodotti; e poi c’è il famoso blog Man Repeller, che di recente ha lanciato un suo sito e-commerce diviso tra shop e play, sezione nella quale è comunque possibile comprare, ma attraverso un’interfaccia ‘giocosa’ e ispirata ai giochi digitali. 

Chi ha virato più decisamente verso il videogame è stato Louis Vuitton, che ha ideato un gioco retrò con l’obiettivo di promuovere le vendite online. Scelta simile a quella fatta da Gucci, della quale abbiamo parlato qualche giorno fa, e da Foot Locker. Sempre rimanendo in ambito videoludico troviamo poi i brand che non si discostano dal core business. Quelli che continuano a fare quel che sanno fare, ma strizzando l’occhio al gaming con motivi e dediche specifiche. Così hanno fatto Bershka, con la capsule collection sui Pokémon, e l’italiana Diesel, con la recente collezione dedicata a Days Gone. E così ha fatto LeoStudioDesign, che per la stagione primavera-estate 2020 ha disegnato una collezione ispirata al famoso PacMan. 

E infine tutti quei brand che hanno sposato la causa del gaming competitivo, creando partnership con team e organizzazioni. I marchi della moda che hanno scoperto gli esport sono già numerosi, dalla A di Adidas alla U di Under Armour, passando per Armani, Champions, Lotto, Nike, Octpus Brand e Puma. E probabilmente altri li seguiranno nel prossimo futuro, visto quanto fa gola l’audience degli esports.

Sponsorizzazioni forse atipiche per il gioco competitivo (arrivano da parte di aziende non endemiche), che un domani potrebbero anche chiudersi rapidamente come si sono sviluppate, che avvicinano (solo) idealmente i team esport ai team sportivi (anche se a differenza di quest’ultimi, negli esport, nessuno parla di cifre), ma accordi che, per ora, accontentano entrambe le parti. Accontentano soprattutto i giganti del fashion, per i quali, anche tramite gli esport, Millenials e Generazione Z sembrano finalmente più vicini.

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