Ecco dove può portare la protesta di Ibrahimović contro EA Sports

La questione è ormai nota: da qualche settimana c’è stata una levata di scudi da parte di alcuni calciatori professionisti che accusano il publisher statunitense Electronic Arts Sports di utilizzare senza alcuna autorizzazioni i loro nomi, e soprattutto i loro volti, nel videogame FIFA 21. L’accordo sui cosiddetti diritti di rappresentanza degli sportivi è solo una delle voci di spesa di una società che realizza titoli di simulazione sportiva, ma fondamentale per determinare il valore del gioco. Una sequenza di azioni legali contro EA Sports potrebbe in qualche modo cambiare le sorti di giochi come FIFA o PES? Potremmo trovarci di fronte ad altri casi come il Piemonte Calcio, costretti a giocare con avatar dai nomi di fantasia, come fu in tempo con i vari Castolo, Minanda & Co.? Nel corso di una chiacchierata con due legali che con la dimensione legale del mondo videoludico hanno una differente quanto ormai comprovata esperienza, sono emersi dettagli curiosi e complessi su una vicenda che dimostra di essere tutt’altro che una boutade.

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L’antefatto è rappresentato dalle esternazioni di Zlatan Ibrahimović. Il calciatore della squadra di calcio AC Milan, che ha dimostrato di essere ancora nel pieno del suo vigore atletico nonostante le 39 primavere alle spalle, nelle scorse settimane ha iniziato un botta e risposta via social con la EA Sports sostenendo di non aver mai autorizzato l’utilizzo del suo nome e della sua immagine nel famoso gioco di calcio FIFA né di essere iscritto a FIFPro, la Federazione internazionale dei calciatori professionisti (nata nel 1965 ma riconosciuta solo nel 1995 dagli enti Uefa e Fifa, attualmente l’organo di riferimento per la gestione dei diritti dei propri iscritti).

Il motivo di questi strali, che nel caso di un calciatore come Ibrahimović possono sembrare quantomeno tardivi (il calciatore svedese, infatti, appare nei titoli FIFA da almeno 15 stagioni) lo possiamo forse supporre dopo che, di recente, è entrato in causa anche il procuratore dell’atleta, Mino Raiola. Il procuratore, indirizzandosi a sua volta a EA Sports, ha infatti rincarato la dose del suo assistito sostenendo che “FIFPro ed il Milan non hanno i diritti individuali sui calciatori, come sono sicuro che sapete visto che ve l’ho detto tante volte“. Insomma, che ci sia un comune accordo per individuare una nuova (probabilmente legittima) fonte di guadagno? Nell’epoca in cui il grande personaggio sportivo è anche un brand, spesso un influencer (vedi Cristiano Ronaldo, che recentemente è “diventato” un personaggio del battle royale Free Fire) con più fan della squadra in cui milita, perché tralasciare questo aspetto? Un aspetto, quella presenza del “marchio” all’interno di un videogioco, che peraltro potrebbe garantire entrate anche in futuro, quando l’atleta avrà smesso la sua attività agonistica. Questa la considerazione che potrebbe aver spinto anche gli altri calciatori (pare siano numerosi) che, dopo il milanista, si sono di recente scagliati contro EA Sports.

La questione, come si diceva, è tutt’altro che banale, e per comprenderla meglio abbiamo interpellato gli avvocati Jacopo Ierussi e Marco Galli, chiedendo loro un parere tecnico e scoprendo, dalle loro parole, che l’intrigo potrebbe essere ancora più complesso. Come dire: quasi sicuramente non finirà in un nulla di fatto.

Iniziamo da Jacopo Ierussi, avvocato giuslavorista presso lo studio Salonia Associati e consigliere di FIDE, la Federazione Italiana per le Discipline Elettroniche: “E’ difficile fare le dovute valutazioni senza avere sottomano gli accordi ufficiali cui si appella EA Sports per difendere il proprio diritto di sfruttamento commerciale dell’immagine di calciatori come Zlatan Ibrahimović – spiega Jacopo Ierussi -; immagine che, come è noto, è trasposta in ambito videoludico da anni per la serie FIFA. Nella specie, dobbiamo tenere a mente che quando si parla di “immagine” di un atleta nell’ambito dei videogiochi di simulazione sportiva questo concetto non è circoscritto alla semplice riproduzione del nome (o del soprannome) della persona celebre o delle sue sembianze fisiche, ma ricomprende anche, la riproduzione di peculiarità, di prerogative o del complesso di connotati e qualificazioni particolarmente evocative rispetto a quel giocatore (per esempio le esultazioni in campo).

EA Sports, nell’ufficializzare la propria posizione, ha rimesso la questione ai Club ed a FIFPro (senza citare l’italiana AIC) dando atto che – in particolare quest’ultima – possono negoziare i diritti di immagine dei calciatori e che questo è quanto accaduto; una fattispecie analoga a quanto avviene per i cosiddetti “prodotti collettivi” (vedi gli album di figurine) quando è necessaria l’utilizzazione di immagine, nome o pseudonimo di più player e/o club.
Non è la prima volta che si verifica una situazione del genere e il fatto che la polemica sia nata sui social media potrebbe significare due cose, ovvero che, in primis, il problema già c’era e che il dialogo non ha avuto buon esito così come afferma Raiola; in secundis si tratta di un monito volto perlopiù a sondare il terreno e accertare il numero di calciatori vicini a questa rivendicazione. In entrambi i casi, a mio avviso, si prospetta nel prossimo futuro una situazione non semplice da gestire tanto per il publisher chiamato in causa quanto per i suoi colleghi/competitors. E’ in momenti come questi che si potrebbe rivelare preziosa la mediazione di un soggetto istituzionale con funzioni di raccordo tra publisher e mondo dello sport, cioè di un ente che vive per sua natura a metà tra i due mondi”.

Passiamo quindi al parere del secondo legale interpellato, l’avvocato Marco Galli, coordinatore della practice eSports dello studio legale Gattai, Minoli, Agostinelli & Partners di Milano. “Il caso Ibrahimovic inaugura il filone della contrattazione individuale dei diritti d’immagine dei calciatori più famosi – spiega l’avvocato Galli – La EA Sports per creare un gioco come FIFA, ha bisogno di acquisire un pacchetto di licenze su diritti di varia natura: segni distintivi, marchi e denominazioni delle squadre e delle competizioni (Serie A, Champions League, Mondiale FIFA, eccetera), ma anche diritti d’immagine dei singoli calciatori. Ognuno di questi diritti può appartenere (anzi, appartiene) a soggetti diversi.

La gestione di tali diritti è normalmente collettiva. Alcuni diritti sono direttamente in capo alla Lega Serie A o alle varie federazioni (FIFA, UEFA). Altri diritti sono, invece, di titolarità del singolo club: si pensi soltanto, per citarne alcuni, ai colori sociali e ai brand che contraddistinguono la singola squadra. Per questo motivo si sono verificati casi come quello della Juventus, che non ha licenziato i diritti di propria titolarità a EA Sports, preferendo invece un accordo in esclusiva con la Konami.

I diritti d’immagine, invece, costituiscono diritti della personalità del singolo calciatore. Per agevolarne la contrattualizzazione e lo sfruttamento economico, anche questi diritti sono normalmente gestiti in maniera accentrata attraverso organismi sindacali e rappresentativi dei giocatori.

I calciatori professionisti in Italia, ad esempio, sono normalmente iscritti all’Associazione Italiana Calciatori (AIC), a sua volta affiliata a livello internazionale alla FIFPro, la federazione internazionale dei calciatori professionisti. Si tratta sostanzialmente di organizzazioni rappresentative, che si occupano (anche) della gestione centralizzata dei diritti di immagine dei calciatori: il funzionamento è di fatto simile a quello della SIAE per i musicisti e per i cantanti. L’iscrizione non è, tuttavia, obbligatoria: da qui il probabile nocciolo del caso-Ibrahimovic.

Difficile dire se questo possa diventare un problema per i publisher come la EA Sports o la Konami: la stragrande maggioranza dei calciatori, infatti, e sicuramente iscritta alle associazioni di categoria, pertanto il problema è quantitativamente abbastanza confinato.

Il problema potrebbe essere, invece, qualitativo: la mancata possibilità di giocare con determinati giocatori “icone”, in un contesto sempre più improntato al tifo del singolo calciatore-influencer piuttosto che del club, potrebbe indirizzare le scelte d’acquisto dell’uno o dell’altro titolo da parte dei gamer.

In conclusione, ritengo il fatto che i publisher possano essere tenuti a trattare la cessione dei diritti d’immagine direttamente con il singolo giocatore un’ipotesi al momento residuale ma di potenziale grande impatto di marketing. Bisogna inoltre chiedersi cosa potrebbe succedere con l’avvento della eSerie A: cosa potrebbe accadere ad esempio agli Ultimate Team? Capiamo bene che per i publisher potrebbe essere complesso escludere giocatori importanti dal novero dei calciatori “ottenibili” con i pacchetti acquistati.

Altro fronte relativo ai diritti della personalità è poi quello dell’accuratezza delle caratteristiche associate al calciatore nel videogioco. Come potrebbe reagire il giocatore di fronte a caratteristiche fisiche o atletiche, riprodotte in maniera imprecisa? Il publisher potrebbe essere indotto a condividere con l’atleta gli algoritmi che gestiscono le prestazioni della sua copia digitale, in un’ottica di trasparenza? Soprattutto per la parte relativa al FUT, esistono aspetti economici non indifferenti a corollario. Il che rende questo tema sicuramente estremamente importante, da continuare a seguire e approfondire”.

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