I relatori della tavola rotonda ‘La scommessa degli esports’ ad Ige 2024 ne fanno un punto fermo: senza la regolamentazione del settore il betting sugli sport elettronici non può spiccare il volo come invece è accaduto in altri Paesi.
Come fare perché anche in Italia gli esports diventino un segmento importante del verticale del betting? Questo il quesito che ha fatto da sfondo alla tavola rotonda “La scommessa degli esports” tenutasi nella seconda giornata dell’Italian gaming Expo & conference al Palazzo dei congressi di Roma, con la moderazione di Cesare Antonini, co-founder Gn Media, giornalista di EsportsMag e GiocoNews.
“Come proprietari di agenzie di scommesse sul territorio e fornitori di servizi abbiamo creato una piattaforma che raccoglie tutti gli esports a base sportiva, partendo dal calcio e dal basket”, spiega Luigi Ughi, Ceo & co-founder Giotto, che avvia il confronto proponendo il punto di vista del bookmaker. “Abbiamo fatto una ricerca sia in Italia che all’estero: alcuni Paesi assicurano l’integrità negli eventi, sia per il cliente che per il bookmaker, e quindi giocabili. Da noi il problema è la resistenza del regolatore che non apre a questi eventi, perché guarda ad essi con diffidenza. Ma noi non demordiamo, e noi pensiamo che i nuovi clienti abbiano bisogno di questo tipo di prodotto”.
Luca Pagano, Ceo e co-founder di Qlash, sottolinea: “In Italia il fenomeno del betting sugli esports non è ancora esploso, perché nel nostro Paese non sono ancora esplosi gli esports. Invece c’è già un verticale importante all’estero, dove gli esports sono popolari, come negli Stati Uniti, sia in termini di numeri che di affari. Il betting è destinato a crescere insieme all’industry, in questa prospettiva bisogna educare gli operatori all’opportunità dell’esport, visto che non li conoscono ancora bene. Sono dinamiche che i giovani praticano e conoscono bene ma sono prodotti che l’operatore tradizionale non è ancora pronto ad affrontare bene”.
L’avvocato Stefano Sbordoni, founder di Sbordoni&Partners, sottolinea l’importanza della regolamentazione. “Regolamentando si possono dare certezze a chi fruisce di questa attività: giocatori, operatori, fornitori di servizi, di hardware e software, operatori di scommesse”.
Ludovico Calvi, presidente onorario Ulis – United lotteries for integrity in sports, invece punta l’attenzione sul riconoscimento degli esports come sport olimpico, “considerando che anche la breakdance è stata riconosciuta come tale. Oggi nel Comitato olimpico internazionale ci sono ancora resistenze a riguardo, ma in realtà è tutto pronto. Sono quattro le criticità evidenziate dal Cio: la violenza dei giochi, il doping, l’incertezza su chi organizza l’evento e le modalità con cui viene veicolato, il match fixing. A questi dubbi ci sono delle risposte, e forse il vento potrebbe cambiare dopo le elezioni del nuovo comitato esecutivo. Credo che sia solo una questione di tempo. Anche nell’Ulis c’è una volontà tecnica, di competenza, di guardare oltre”.
Il secondo giro di commenti dei relatori si concentra sulla certificazione del risultato.
Per Pagano sicuramente “ci devono essere dei certificatori, che si tratti di un’azienda terza, di qualcuno dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli, o che venga delegato all’organizzatore. Ci deve essere qualcuno che certifica il risultato. L’intelligenza artificiale e i big data possono essere dei validi strumenti da sviluppare per limitare il match fixing. Io poi sento la responsabilità di tutelare il giovane nel mondo del betting: visto che il proibizionismo nel gioco tout court non funziona, figuriamoci cosa vorrebbe dire applicarlo per l’online, con un pubblico giovane. Si perderebbe sicuramente il controllo su determinate dinamiche. Il giovane che vuole scommettere non lo fa per arricchirsi ma per avere un senso ulteriore di coinvolgimento nella partita, quindi può essere trattato in modo diverso rispetto allo scommettitore standard”.
Pagano quindi suggerisce di applicare agli esports lo stesso metodo a suo tempo utilizzato per la regolamentazione del poker, “mettendo dei limiti importanti alle scommesse, limitando quindi il match fixing, tutelando il pubblico e offrendo servizi che ai ragazzi interessano“.
Sbordoni si richiama alla risoluzione del Parlamento europeo del novembre 2022, “non vincolante per gli Stati membri ma che funge da indicazione sulla base della quale gli Stati e la stessa Unione europea possono adottare provvedimenti più vincolanti e sostanziali. Il caos attuale in Italia al momento fa ‘funzionare’ il settore ma rende improduttive alcune componenti come quella del betting in italia, poi c’è lo scambio commerciale delle skin, ci sono i social betting, le comunità con gruppi chiusi con soggetti che scommettono fra di loro, al di fuori delle forme tradizionali. Il principale punto da risolvere? Sono necessarie regole chiare sugli eventi che si possono svolgere per avere una certezza dei risultati; una volta risolto questo, manca di regolamentare lo svolgimento dell’evento per permettere all’operatore di aprire in maniera ampia il palinsesto”.
Secondo Calvi, bisogna “creare una federazione internazionale degli esports, creare le basi per definire ‘chi’ è l’atleta di esports, come si definisce, come viene valutata la sua performance”.
Ughi rimarca come gli esports in Italia siano “al momento una scommessa di nicchia con pochissimi eventi, specie su giochi di strategia che la maggior parte dei clienti non conoscono. Per questo si parte dagli esport a base sportiva, per fidelizzare il cliente a poco a poco. Ci crediamo fortemente, potrebbe essere un prodotto rispettabile sia nei negozi di gioco – per il cliente e per gli esercenti – sia per l’online”.
Tirando le conclusioni, Sbordoni dice che i problemi che riguardano il regolatore sono due: “uno dei palinsesti, quindi le scommesse che i terzi fanno sugli esports, dove servono regole chiare per gli eventi, e uno la normativa delle sale Lan, per le quali c’è un’attività in corso da parte del regolatore”.