Perché il CIO chiude alle “federazioni” esports?

Il CIO chiude alle “federazioni”, ma non chiude agli esports. Giusto precisarlo subito. Nei giorni scorsi da più parti abbiamo letto la notizia della lettera con la quale il Cio ha comunicato alle federazioni di non riconoscere, ad oggi, alcun soggetto rappresentativo della scena esports mondiale. Domanda: poteva, il Cio, dire una cosa diversa? Risposta: no. Ad oggi no. Dire esports, oggi, significa ancora nominare un universo frammentato tra decine di titoli, centinaia di community, qualche decina di federazioni (che, lo sappiamo, federazioni non sono), una dozzina di publisher (aziende private, multinazionali. E multinazionale non è aggettivo da mettere in secondo piano) e mille interessi diversi.

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La situazione, dunque, era, e rimane, un labirinto molto molto complesso. Da parte del Cio è stato precisato ancora una volta che l’interesse rimane, ma i nodi da risolvere sono tanti, e per farlo a Losanna pensano che il modo migliore sia continuare a dialogare con tutti, senza dare privilegi a nessuno. Nemmeno alla Gef, Global Esports Federation, nonostante sia uno dei soggetti più strutturati. Gef ha comunque forti legami con il movimento olimpico, ma rimane, per il Cio, uno dei tanti soggetti seduti al tavolo, con i quali confrontarsi e continuare il percorso assieme.

Ma perché il Cio si è sentito in dovere di prendere carta e penna e precisare una cosa che, sinceramente, qualsiasi persona di buonsenso avrebbe dato per scontata? Forse qualcuno si è proposto al Cio cercando di imporsi sugli altri come soggetto più autorevole? Forse il Cio ha “respinto” la Gef (che sappiamo essere sostenuta fortemente da Tencent) per non rischiare di orientalizzare troppo la questione? Già, sono tutte domande che quanto accaduto nei giorni scorsi rende legittime.

Quindi nessuna rivoluzione. Si procederà come fatto fino a ora, con il Comitato olimpico che è fortemente interessato a trovare un modo per svecchiare la propria immagine e avvicinare le nuove generazioni, che non trovano entusiasmante (come la trovavano i loro nonni e i loro genitori) l’attuale offerta olimpica, e il mondo esports che, dal canto suo, rimane a guardare con i suoi mille sentimenti: di speranza, di curiosità, di pessimismo, di menefreghismo… senza una linea comune.

Tutto questo mentre il Cio sa bene che (al di là dei palati schizzinosi che vogliono solo titoli di simulazione sportiva e non giochi violenti) la discussione principale sarà quella da intavolare con le software house e i publisher. Sono loro, infatti, che detengono la proprietà intellettuale degli esports (che sono videogiochi, qualcosa di ben diverso da uno sport). E proprio i publisher, chi più, chi meno chiaramente, hanno sempre fatto capire di non essere per nulla intenzionati a perdere potere sul loro core business.

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