Partendo da un semplice hobby, spesso il gamer si trova ad avere un vero e proprio lavoro, e mentre le Federazioni sportive e i Comitati olimpici continuano a domandarsi se inserire gli esports tra le discipline ufficiali, l’Amministrazione finanziaria inizia a passare sotto la lente di ingrandimento i proventi derivanti da questa particolare forma di gaming.
Articolo di Giancarlo Marzo e Irene Barbieri – Studio Legale e Tributario Marzo Associati
Dimenticate le intramontabili scarpette da calcetto, o la cara vecchia racchetta da tennis: ormai lo sport si gioca a casa, comodamente seduti davanti al proprio pc. Armati di joystick, display e followers, i giocatori (cd. gamers o, più in generale, streamers) – da soli oppure in team – si sfidano a colpi di videogiochi su
piattaforme digitali, creando intere comunità virtuali di fans pronti a seguire tutte le mosse dei loro beniamini, da un torneo a una diretta live in streaming. Sono gli esports, la nuova frontiera dell’entertainment legato allo sport che, complice anche la crisi degli eventi sportivi tradizionali a seguito della pandemia da Covid-19, hanno ormai conquistato tutto il mondo e – stando a un report datato 2018 elaborato da Goldman Sachs – creato un giro d’affari stimato, per il 2023, per 1,59 miliardi di dollari.
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Già, perché attorno al mondo dei giovanissimi che sfruttano loro abilità con i videogiochi e le loro capacità comunicative, ruotano cifre da capogiro. Tanto che, partendo da un semplice hobby, spesso il gamer si trova ad avere un vero e proprio lavoro, visti i ricavi derivanti da sponsorship, diritti media, merchandising e tickets tipici degli esports. E mentre le Federazioni sportive e i Comitati olimpici continuano a domandarsi se inserire gli esports tra le discipline ufficiali, l’Amministrazione finanziaria inizia a passare sotto la lente di ingrandimento i proventi derivanti da questa particolare forma di gaming.
Parliamo fondamentalmente di due categorie di introiti:
a) quelli legati all’attività del gaming online, come gli incentivi per l’affiliazione alla piattaforma, con l’avvio di un programma da usare per le iscrizioni a pagamento al canale e l’abilitazione dei cd. bit o altre monete di scambio virtuale, nonché i premi e le vincite derivanti dalla partecipazione ai tornei;
b) quelli provenienti al gamer dallo sfruttamento economico della propria immagine: e dunque le percentuali sulla vendita dei videogiochi che promuove in diretta, nonché i compensi derivanti dai contratti di sponsorizzazione e merchandising che conclude con noti brand per la promozione dei loro prodotti sul proprio canale, tramite i banner o il consumo live.
Ora, posto che non esiste una disciplina fiscale ad hoc per la regolamentazione degli introiti di un gamer professionista, bisogna guardare alle norme concernenti le categorie reddituali previste dal D.p.r. n. 917/86 (cd. Testo unico delle imposte sui redditi). In sostanza bisognerà verificare, caso per caso, se i suddetti compensi possano farsi rientrare tra i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo, ex art. 53 del Tuir, o da lavoro dipendente, di cui all’art. 51 del Tuir o, infine, tra i redditi diversi, di cui all’art. 67 del Tuir.
Per farlo è necessario anzitutto appurare se la prestazione svolta dallo streamer ha natura occasionale, poiché svolta in maniera saltuaria o temporanea, o, viceversa, se è di tipo abituale. Hanno, ad esempio, natura occasionale i proventi derivanti dalla vincita di tornei che, salvo eccezioni, rientrano nella categoria dei redditi diversi ex art. 67, lett. d) del Tuir, con conseguente assoggettamento ai fini Irpef a ritenuta alla fonte a titolo di imposta del 20%. Se invece l’attività è di tipo abituale, allora si dovrà distinguere a seconda che venga svolta con vincolo di subordinazione o meno. Nel primo caso, cioè, l’attività viene prestata alle dipendenze del team di appartenenza, ragion per cui si avrà a che fare con un reddito di lavoro dipendente, da tassare con ritenuta alla fonte a titolo di imposta.
Viceversa, quando non sussiste la subordinazione, il compenso del gamer rientrera nell’ambito dei redditi di lavoro autonomo, con conseguente apertura della partita Iva per la fatturazione, tassazione ai fini Irpef progressiva per scaglioni e ritenuta alla fonte a titolo di acconto pari al 20% (salvo l’accesso al regime forfettario), oltre che iscrizione alla gestione separata Inps per il versamento dei contributi previdenziali.
Il vincolo di subordinazione eventualmente presente rileva anche rispetto al trattamento dei proventi derivanti dai contratti di sponsor o pubblicità: se i diritti di immagine vengono ceduti al club di appartenenza, i relativi introiti costituiscono reddito di lavoro dipendente; viceversa, possono essere considerati redditi di lavoro autonomo o redditi diversi.
Discorso a parte va fatto, invece, per le elargizioni provenienti dai follower che, essendo versamenti liberi nell’an e nel quantum e indipendenti da una controprestazione del gamer, rappresentano delle donazioni dirette, in quanto tali escluse dalla formazione del reddito ai fini Irpef.
In ultimo, sotto il profilo fiscale, potrebbe rilevare anche la residenza fiscale del gamer. In effetti, vero è che i compensi percepiti dallo streamer italiano vengono tassati in Italia indipendentemente dal luogo di produzione ex art. 2, comma 2 Tuir. Tuttavia, considerando il carattere virtuale degli esports e, dunque, i profili transnazionali coinvolti, il gamer italiano potrebbe subire una ritenuta in uscita dal Paese in cui ha prodotto il reddito, il cd. Paese della Fonte del reddito, con conseguente possibile doppia imposizione. In questo senso, quindi, bisognerà rifarsi alle Convenzioni internazionali contro la doppia imposizione costruite sul modello Ocse, in particolare all’art. 17 del cit. modello riservato agli Entertainers and sportspersons. A mente di quest’ultimo, in deroga ai princìpi generali, i suddetti soggetti devono essere tassati nello Stato in cui esercitano di volta in volta la loro attività, anche in assenza di una “base fissa”. Il criterio da utilizzare sarà però quello della stretta connessione («close connection») tra la performance del gamer e i redditi prodotti, che dovrà essere valutato in base alle singole pattuizioni contrattuali.
Insomma, in attesa che il Legislatore colmi la lacuna normativa esistente sotto il profilo tributario per i proventi derivanti dagli esports, onde evitare possibili contestazioni da parte del Fisco, il gamer farebbe meglio a gestire la propria posizione con l’ausilio di un professionista, l’unico in grado di superare tutte
le incertezze applicative del caso.
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