Donne e uomini che giocano alla pari negli eSports. Quello dei videogame competitivi potrebbe essere un mondo rivoluzionario, senza distinzioni di genere o di abilità. La realtà tuttavia è ben diversa e limitandoci all’universo femminile (senza toccare, per ora, il problema della disabilità) la questione è tutt’altro che rosea. Qualche giorno fa hanno giustamente rispolverato il tema i Moviestar Riders, aderendo alla campagna “My Game My Name” ma soprattutto realizzando un esperimento con la collaborazione di alcuni pro player spagnoli. Interessante il risultato, che abbiamo raccontato qui riportando anche il video dei Moviestar.
TROGLODITI COL JOYPAD – A sollevare il problema, qualche settimana fa, era stata anche Susie Kim, General Manager dei London Spitfire Cloud9 Esports. Nello sfogo, riportato da alcuni siti di informazione, Susie Kim affermava di non essere affatto sorpresa che nel roster del suo team (di Overwatch) non ci sia nessuna ragazza. Accerchiate da cavernicoli che si sono autoesclusi dal processo di evoluzione cerebrale limitandosi a sostituire il joypad alla clava, le ragazze provano a giocare, ma presto vengono indotte a lasciare.
DONNA IL 45% DEI GAMER USA – Partiamo da qualche dato. Negli Usa il 45% dei giocatori è di sesso femminile eppure anche lì le donne pro player sono pochissime. Chi gestisce giochi e tornei di League of Legends e Overwatch, ad esempio, da tempo vorrebbe vedere più donne tra i professionisti partecipanti. Eppure la LoL’s Championship Series non vede un giocatore di sesso femminile dal 2016, mentre la stagione inaugurale della Overwatch League ne ha ospitata solo una.
MOLESTIE E INSULTI – Il problema principale? Le molestie, quando non si tratta di veri e propri insulti. E poche volte qualcuno interviene per difenderle. Così le donne si sentono emarginate dalle community, sottoposte continuamente ad un fuoco incrociato di commenti sulla loro abilità come player o, peggio ancora, sul loro aspetto fisico. Qualcuna ha segnalato comportamenti analoghi anche da parte di compagni di team. E anche chi produce abbigliamento per professionisti non si esime dal riproporre una immagine della donna sempre legata ai soliti cliché.
GAMERGATE – Ricordiamo il famoso caso Gamergate, accaduto nel non molto lontano 2014. Allora c’era di mezzo la rottura di un rapporto sentimentale, ma la community mossa dal fidanzato deluso si scatenò con una rabbia mirata, e organizzata, per colpire dapprima la fidanzata fedifraga, e poi, visto che c’erano, tutte le donne del settore. Purtroppo, anche in paesi come gli Usa, dietro una parvenza spesso politically correct la situazione pare non essere migliorata molto.
GLI ALTRI CASI – Non mancano altri casi: Kim’s London Spitfire, che ha vinto il primo campionato Overwatch League a luglio 2018, parlando con la Associated Press prima delle finali ha confermato che ci sono giocatrici molto talentuose, ma bloccate dalla paura: “Non voglio assolutamente far parte di questo, e non le biasimo.” Maria ‘Remilia’ Creveling è stata l’unica donna (transgender) a competere nella LoL Championship Series (LCS), ma la sua avventura è stata di breve durata a causa di alcuni “fan”. Creveling si è qualificata per l’LCS con il team Renegades nel 2015, ha fatto il suo debutto l’anno successivo ma i commenti molesti e sessuofobici durante le dirette l’hanno, di fatto, espusa. In rete si trovano anche i racconti di Kim “Geguri” Se-Yeon, di Sasha “Scarlett” Hostyn, di Se-Yeon e Hostyn, Tiffany Chang. Tutti casi isolati?
COSA DICONO LE DONNE – È Tiffany Chang, molto seguita su Twitch, a riportare alcune impressioni delle donne colpite: “Siamo spesso costrette a giocare con personaggi femminili”, il che sarebbe il minimo. Alcune accettano gli inviti dicendo “vuoi davvero? So già che mi molesterai per questo?” E ci sono casi veramente assurdi come quello raccontato da Briah Luther, che giocando a LoL si è trovata più volte a guidare dei team accorgendosi che “quando capiscono che sono una donna, non ho più potere“. I maschi semplicemente la ignorano, incuranti del fatto che, così facendo, danno un vantaggio tattico enorme agli avversari.
QUALCHE SOLUZIONE? – Inutile, o quasi, rivolgersi ai publisher, che non hanno ne tempo ne voglia di occuparsi di un problema che, detto tra noi, neanche gli compete. Una soluzione potrebbe venire dall’organizzare più tornei in presenza, faccia a faccia; è l’anonimato online che, secondo molti, fa emergere i comportamenti più turpi. Molto possono fare i team, anche organizzando gli spazzi della gaming house, e prevedendo dei momenti di discussione. Il resto devono farlo le community e chi le amministra, tirando fuori gli attributi e cominciando a espellere i bulletti. Moltissimo possono fare anche i singoli, giocando sempre con “cervello mode on”, ragionando sull’assurdità di certi comportamenti, o cambiando attività, se così non gli sta bene: nel campetto dietro casa ci sarà sicuramente qualche altro appassionato di lancio della clava.