Il mondo degli esports, come è noto, è un sistema in rapida crescita che ormai ha conquistato la maggior parte dei paesi di tutto il mondo. In Italia, il fenomeno sta ancora cercando un assestamento, specialmente per quanto riguarda l’ambito normativo e di regolamentazione.
OIES, l’Osservatorio Italiano Esports, ha organizzato un webinar che si è interessato proprio a questo aspetto: “Esports Legal Forum”. Diversi professionisti del settore legale hanno illustrato le dinamiche, i problemi e le eventuali soluzioni che emergono quando la legge incontra il gaming competitivo.
Uno degli aspetti affrontati è stato quello degli investimenti su team e organizzazioni, che in Italia trovano un freno poiché l’assenza di regolamentazioni chiare non aiuta a capire con facilità le strategie da attuare.
“Nonostante la pandemia il settore è in ampia crescita; il ROI (return of investment) sugli esports in media è del 101% con picchi del 280%” ha rivelato Manuela Magistro di Lexant.
Se ad esempio gli esports (in Italia) venissero riconosciuti a tutti gli effetti come sport, sarebbe più facile collocarli in un quadro normativo regolamentato, come succede per esempio in Asia, dove ai Giochi Asiatici del 2021 ci saranno medaglie per i vincitori delle competizioni di videogiochi.
“I potenziali investitori devono avere un quadro giuridico più chiaro. In alcuni paesi gli esports hanno approfittato delle pieghe nella normativa, collocandosi in una sorta di zona grigia” ha spiegato Giulio Coraggio, avvocato dello studio DLA Piper.
Anche per quanto riguarda il giocatore professionista di esports, la legge italiana si rivela arretrata. Ad oggi, nonostante i giocatori vengano definiti “pro player”, per la legge del nostro paese chi pratica esports non è considerato un atleta, così come gli esports non sono considerati disciplina sportiva, anche se di fatto, chi vive di questa attività come player è a tutti gli effetti un “professionista” (allenamenti, alimentazione, mental coach e via dicendo).
Dal punto di vista contrattuale è un problema, in quanto non essendo riconosciuto lo status di professionista, in Italia i compensi percepiti dai player non saranno mai allo stesso livelli di paesi come Francia e Cina, che hanno regolamentato con leggi apposite la tutela del giocatore competitivo di videogiochi.
“La Legge 91/81 (riferita ai contratti sportivi) non si applicano ai player di esports, nonostante essi si comportano come professionisti del settore” riporta Carlo Rombolà, avvocato dello studio legale Rombolà & Associati.
Ecco quindi che il panorama esports italiano si trova a dover affrontare necessariamente una regolamentazione a livello giuridico e fiscale, scongiurando così un possibile rallentamento nella crescita di un settore che ormai in tutto il mondo sembra aver innescato una miccia molto esplosiva.