Perché la Cina blocca i videogame e cosa comporta per il mercato

In Cina la nascita del Comitato Etico sui Giochi online potrebbe portare alla messa al bando di videogame come Pubg e Fortnite, con ripercussioni sul mercato, visto che la Cina porta il 25% dei ricavi globali.

La notizia della nascita, in Cina, del Comitato Etico sui Giochi online si è diffusa a macchia d’olio, nel pomeriggio di ieri. Tra i titoli più esposti alla (possibile) censura ci sono i due fenomeni del momento, Fortnite e Pubg. Al momento nessuna conseguenza, e i listini di borsa reggono, ma la notizia, finora semplicemente rimbalzata si sito in sito, merita comunque un approfondimento perché la Cina, con 850 milioni di giocatori attivi, costituisce pur sempre il 25% del mercato videoludico mobile mondiale, con una quota di 25,6 miliardi di dollari nel 2017, che quest’anno potrebbe sfiorare i 30 e, stando alle proiezioni (dell’agenzia Niko Partners), diventare 42 miliardi nel 2022.

LA NOTIZIA – Scrive GamesIndustry.biz che il nuovo Comitato etico istituito dalla Repubblica Popolare Cinese avrebbe già terminato l’analisi di 20 giochi multiplayer, nessuno dei quali rispetterebbe i parametri minimi fissati dagli esperti (universitari, docenti, ma anche imprenditori al servizio del Paese). 11 dei titoli visionati sarebbero completamente fuori norma, a causa di contenuti troppo violenti o contrari alla morale; per gli altri 9 solo una sostanziale rettifica da parte dei team di sviluppo potrebbe consentirne il rientro in carreggiata (e il ritorno online, in Cina).

LA LISTA DI GIOCHI EPURATI – Tra i 20 giochi analizzati ci sono titoli di spessore, protagonisti sulla scena degli eSports: Fortnite, Pubg (per esteso PlayerUnknown’s Battlegrounds), Paladins e H1Z1, che figurano tra quelli irrecuperabili. Tra i 9 rivedibili ecco League of Legends, World of Warcraft, Diablo e Overwatch, che secondo il Comitato contengono “chatroom disarmoniche”, “personaggi femminili troppo svestiti”, “presenza di premi assegnati in base al grado” e “missioni di gioco che incitano alla frode”. Da specificare che si tratta del parere del Comitato, le azioni del Governo cinese devono ancora essere dichiarate.

POSSIBILI CONSEGUENZE – Presto per dirlo, ma il minimo che può capitare è che tutte le aziende colpite ne risentano in borsa, con conseguente revisione dei piani di sviluppo futuri. Nell’agosto scorso un approfondito servizio della nota agenzia di stampa newyorkese Bloomberg dimostrò che la stretta cinese sui videogame, con il blocco dell’approvazione delle licenza per i nuovi videogiochi, era costata 160 milioni di dollari alla sola Tencent, con notevoli cali nei rispettivi listini di borsa per Nexon del 5,9%, Capcom del 2,7%, Konami del 4,2%, Netease (che distribuisce titolo Acrivision e Ea Sports) – 5,8% e la stessa Tencent – 3,6%, mentre Perfect World ha perso addirittura un 9%. In questi giorni, invece, i listini delle borse sono fermi, forse in attesa di capire meglio come opererà, e quali poteri avrà, il nuovo Comitato.

I LIMITI DELLA CINA – Già nel 2016 la Cina aveva posto i primi limiti all’uso dei videogames ai bambini sotto i 12anni. L’anno dopo aveva imposto il ritiro dell’app Pokémon Go considerandolo un «grosso rischio per la sicurezza nazionale», cancellando anche i videogame con ambientazioni belliche. A inizio 2018 affiora invece la questione miopia, che ha portato il Governo cinese a dimezzare i giochi online per salvaguardare i giochi dei bambini. In seguito sono arrivate altre limitazioni, per i minorenni (che potranno giocare al massimo 2 ore) e per publisher e sviluppatori, che vedranno arrivare col contagocce dalle autorità cinesi le autorizzazioni all’uscita dei loro nuovi giochi (sia mobile che da consolle o pc). Ora il mercato freme in attesa di capire le intenzioni del Governo cinese.

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