Dopo le tensioni tra India e Cina dovute ad uno scontro militare nella Valle di Galwan, a metà 2020 PUBG Mobile è stato ufficialmente bandito dall’India. Al di là di ogni singola ragione, uno scontro diplomatico a tutti gli effetti. Il governo indiano, infatti, ha deciso di bandire ben 200 applicazioni cinesi tra cui il battle royale di casa Tencent.
Il divieto imposto è stato un duro colpo per tutta la community indiana, così come per la PUBG Corporation e per gli enti cinesi che avevano deciso di investire nel gioco. Inizialmente, non c’era alcuna stima su quanto fosse il danno economico subito da Tencent. Recentemente, però, un report di Inside Sport ha evidenziato come il colosso cinese abbia perso la bellezza di 34 miliardi di dollari. Non proprio spiccioli.
Per sopperire a questa grave perdita economica, PUBG Corporation ha deciso di rimuovere Tencent come filiale, causando un ulteriore segno negativo nel bilancio dell’azienda orientale. L’obiettivo, ovviamente, è quello di tornare ad essere protagonisti con una nuova denominazione che dovrebbe strizzare l’occhio all’india. E proprio con questa prerogativa che è nata PUBG India, con la società che è stata regolarmente registrata all’ombra del Taj Mahal in questi giorni. Il Governo al momento pare non essersi ancora pronunciato. PUBG resterà in attesa di risposte da parte del MeitY, il Ministero dell’Elettronica e della Tecnologia del Governo indiano.
L’India, dunque, si aggiunge ad una lunga lista di paesi che hanno vietato PUBG tra cui Nepal, Iraq, Giordania, Pakistan, e Afghanistan. Alla base di questa decisione, presunti effetti negativi per i videogiocatori nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore, come nel caso dell’Iraq, PUBG sarebbe dannoso per la società e potrebbe addirittura minacciare la sicurezza nazionale.