Quanto male fa agli eSports la cacca dei furbetti

L’ultimo mese ci ha presentato alcuni sviluppi interessanti, che fanno ben sperare nell’ottica di uno sviluppo concreto degli eSports in Italia. Le fusioni tra team (perché l’unione fa la forza), l’arrivo di giocatori importanti (anche i team italiani hanno il loro appeal, e soprattutto le potenzialità), l’approdo di importanti società sportive sulla scena eSports (l’Orlandina basket, molte società calcistiche), sono indubbiamente notizie positive, delle quali seguiremo con interesse gli sviluppi nei prossimi mesi.

Restano tuttavia, legate a questo mondo, alcune questioni veramente importanti per le quali urge intervenire, quantomeno per arginarle e renderle il più possibile fenomeni marginali. Una in particolare: quella degli imbroglioni, che con “abilità” varie, ma tutto fuorché competitive, provano a sopraffare gli altri superando gli ostacoli con trucchetti e sotterfugi. Certo, parliamo di un mondo che si sta ancora strutturando, un organismo giovane che ancora deve crearsi anticorpi endemici che automaticamente reagiscano a certe situazioni, e restano molti aspetti di base da sistemare (a livello strutturale e infrastrutturale), ma avere attorno gente che imbroglia corrode il gioco nella sua stessa essenza, che sulla base di un regolamento da rispettare si realizza poi nella competitività mischiata al divertimento.

Un movimento che si rispetti deve per prima cosa garantire regole chiare e soprattutto la loro applicazione, sempre e comunque. Anche il movimento eSports deve prevedere un sistema sicuro di contrasto a chi gioca sporco, mettendo al margine i comportamenti scorretti a favore di chi rispetta gli avversari, i compagni e infine anche sé stesso, la propria dignità. Si tratta di un fenomeno sfuggente, molte competizioni si svolgono online, a distanza, con la partecipazione tantissimi giocatori tanto che controllarli tutti diventa lavoro improbo. Ma anche negli eventi nei quali i player sono uno di fianco all’altro abbiamo già visto come qualcosa può sempre sfuggire.

In Asia, dove gli eSports sono qualche generazione più avanti, abbiamo visto che si fa sul serio: si parla di espulsioni per anni o, in alcuni casi, anche per tutta la vita dalla scena videoludica competitiva. Altrove ci pensano i publisher o gli organizzatori dei tornei, per il buon nome degli stessi. Ma servono anche azioni decisive, dove chiunque abbia un ruolo negli eSports faccia il suo per cambiare la mentalità. A partire in primis dai singoli giocatori, dai team e dai loro manager, e da tutti i membri delle community, che con il loro comportamento possono indirizzare le decisioni senza lasciarsi passivamente trascinare dagli influencer. Troppo facile attendere che le soluzioni piovano dall’alto.

È un’utopia pensare che il fenomeno possa sparire, soprattutto pensando non tanto ai montepremi (più alti sono più aumentano i controlli) quanto alle scommesse alla poca maturità di molti player. Tuttavia siamo convinti che le notizie di giocatori espulsi e bannati dovrebbero ridursi a pochissimi casi all’anno, come avviene ad esempio nello sport, settore al quale gli eSports si sono lasciati ispirare sin dalla scelta del nome. Fino a che si leggeranno notizie di migliaia di giocatori puniti per cheating significa che il cammino è ancora lungo. Chi imbroglia non solo demotiva e allontana il giocatore onesto, ma fa del male a un intero settore, soprattutto se questo settore sta cercando di crescere e affermarsi. Rovinando la reputazione di un intero sistema si allontana anche cui potrebbe investire per farlo crescere. E di fatto il furbetto finisce, come il peggiore dei parassiti, col soffocare nelle proprie deiezioni sé stesso e il mondo di cui ci si nutre.

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