Le finali del Red Bull solo Q sono l’esempio da seguire per far tornare gli esports dal vivo
C’è un bell’ostello in zona Navigli a Milano con un grande giardino e tantissime piante. Di solito è popolato da studenti chini sui loro laptop o giovani turisti dagli zaini enormi, ma non nella serata di domenica 4 luglio.
In mezzo alle piante e alle vetrate di Combo Milano si sono dati battaglia i finalisti del Red Bull Solo Q, il torneo 1v1 di League of Legends per chi vuole solo vedere due campioni massacrarsi di botte tra di loro.
Il palco era piccolo, servono solo due postazioni pc dopotutto, la scenografia minimale e l’azione rapida, contenuta e facile da comprendere. Niente torri, Baron o Nexus, solo due eroi e una sfida all’ultimo sangue.
Il locale non era un’arena, al posto degli atleti eSportivi poteva esserci una band jazz e l’atmosfera sarebbe rimasta (quasi) uguale. Ero vicino ai giocatori ed ero vicino ai tifosi, sentivo tanto l’esultanza dei player quanto quella degli spettatori e, tra un match e l’altro, ho scambiato due chiacchiere con chi saliva e chi scendeva dal palco per affrontare i match a eliminazione diretta.
C’erano gli ansiosi, gli scaramantici e perfino gli arroganti, il bello, però, è che non si respirava tensione, solo tanto divertimento. La finale, in cui Suru ha battuto Dream Maker per 3 a 1 conquistandosi un posto ai playoff europei, è stata piacevolmente elettrizzante e se il rumore dei caster, del pubblico e dei player si faceva troppo forte potevo tranquillamente uscire in giardino per godermi un po’ di sana afa milanese.
Red Bull nel suo approccio ai videogiochi competitivi si fregia di non essere mai un semplice sponsor. Dalle corse con le Soap Box in poi, gli eventi organizzati dall’energy drink austriaco si sono sempre distinti per originalità e innovazione e questa finale del Solo Q non fa eccezione. É stata divertente da vedere, interessante da analizzare ed un piacevolissimo sottofondo mentre dibattevo con amici e colleghi.
Tutto questo per dire una cosa molto semplice: visto che l’Italia non è ancora pronta a riempire gli stadi con i videogiochi competitivi, queste mini arene con eventi approcciabili e intimi sono, a mio parere, la strada giusta per far rinascere gli esport dal vivo nel nostro Paese dopo lo stop della pandemia.
Non solo a Milano o a Roma, ci sono locali e atleti in tutta Italia. Non dobbiamo avere paura di spettacolarizzare i nostri talenti locali così come non dobbiamo avere paura di investire su scene competitive Tier 2 o mobile.
Il locale, poi, non è stato monopolizzato da Red Bull e da LoL, c’era anche spazio per i clienti regolari a cui era dedicato uno schermo per la diretta. É proprio così (mescolando il pubblico nativo di un locale e i fan dell’eSport) che si costruisce un futuro in cui i videogiochi competitivi smettono di essere un’esperienza per pochi e diventano una forma di intrattenimento.
Questo non è un cambiamento che può avvenire dal giorno alla notte ma se possiamo imparare qualcosa dalla finale del Red Bull Solo Q di Milano è che il pubblico c’è e ha fame di incontrarsi. Solo domenica sera mi è stato chiesto almeno cinque volte (di chi era nel locale per bersi una cosa e non per i match) cosa stesse succedendo. Finita la mia spiegazione, 4 persone su 5 mi hanno risposto in modi simili a questo: “Figata! dov’è che me lo posso guardare?” Gli eSport, anche grazie un contatto casuale, possono conquistare nuovi appassionati quando si mostrano dal vivo e con tutta la loro energia.