Il 2023 sarà un anno decisamente importante per Valorant con Riot Games pronta a far compiere il salto di qualità definitivo al proprio titolo.
Pubblicato da Riot Games a giugno 2020 in piena pandemia, in pochissimo tempo Valorant è riuscito a ritagliarsi il suo spazio diventando in appena due anni e poco più uno dei titoli esports di riferimento a livello globale. Dopo due anni di esperimenti e tentativi, nel 2023 Riot Games è adesso pronta a far compiere a Valorant il salto di qualità definitivo per affermarsi come titolo nel lungo periodo e non come semplice fenomeno temporaneo. Partendo in questo nuovo anno dall’introduzione di tre leghe globali, America, Emea e Asia, con un modello misto tra “aperto” e “chiuso”, chiamato Partnership Program.
L’obiettivo di Riot Games
Ma cosa ha portato a queste innovazioni al suo terzo anno competitivo? “La richiesta dei tifosi di avere un’alta qualità dei match e partite entusiasmanti: sono queste secondo noi le chiavi che porteranno Valorant a essere un esport di successo nel corso degli anni” – ci ha raccontato Daniel Ringland, Head of Valorant Esports per la regione Emea, che abbiamo intervistato in esclusiva – “Il partnership program in tal senso ci aiuterà a creare un ecosistema che porti stabilità sia per i tifosi, che sanno quali squadre vedranno competere e a cui potranno affezionarsi, che per i team, permettendo loro di fare investimenti nel lungo periodo e sostenere il proprio business.”
I fattori chiave
Nell’approcciarsi al partnership program Riot Games ha tenuto in considerazione soprattutto due fattori, legati dalla stabilità nel tempo: “Il primo è la stabilità della fandom, della comunità di tifosi e appassionati” – ha proseguito Ringland – “Il sistema open ha sicuramente molti aspetti positivi ma i tifosi non sanno mai se il loro team preferito continuerà a competere ai massimi livelli. Selezionando i 10 team di ogni lega, assicuriamo ai tifosi che il team per cui decideranno di tifare esisterà a lungo.” L’altro fattore chiave è inevitabilmente legato alle org: “La possibilità per i team di entrare in questa partnership permette loro di fare piani nel lungo periodo, sia competitivi che di immagine: possono costruire una fanbase nel tempo, possono rendere sostenibile il proprio business e di conseguenza diventare più attrattivi per mettere sotto contratto i giocatori migliori.”
Diverso da League
Una delle prime, lecite, domande che si potrebbero fare è chiedersi come mai non sia stato adottato su Valorant lo stesso identico sistema di franchigie già esistente su League of Legends e ampiamente sperimentato, arrivato oggi al suo quinto anno di attività. “La verità è che il mondo dei Moba è differente da quello degli Fps: i fan e i team hanno esigenze e aspettative diverse”, ha risposto ancora Ringland.
“Ovviamente abbiamo imparato molto da League of Legends ma alla fine abbiamo deciso che quell’approccio andava bene per League ma, almeno non del tutto, non per Valorant che deve percorrere una strada leggermente differente.” Una strada che consente di dare stabilità ai team ma al tempo stesso di permettere alle squadre migliori di scalare la piramide competitiva dal fondo alla cima, contrariamente a quanto (non) avviene su League of Legends.
Hype, hype, hype!
Per Riot Games un altro obiettivo fondamentale era creare un’aspettativa sulla scena competitiva: i tifosi devono attendere impazientemente le partite tra le squadre del campionato. “Semplice da chiedere, difficile da realizzare ma sì: l’obiettivo è avere ogni giornata dei match esaltanti. Alla fine di ogni diretta ciò che conta è che i tifosi si siano divertiti ed esaltati”, ha sottolineato Ringland. “Noi tutti amiamo vivere grandi emozioni in partite cariche di significato e di aspettative, magari tra squadre che nel tempo costruiranno grandi rivalità. L’approccio che abbiamo adottato permetterà proprio di avere tutti gli ingredienti richiesti per questa ricetta perfetta.”
Scelte difficili
Ogni lega avrà dieci squadre partecipanti, risultato di un lungo processo di selezione. Lungo e difficile, come ha confermato Ringland: “Abbiamo ricevuto candidature davvero interessanti, tutte meritevoli e ognuna con un proprio aspetto caratteristico. Siamo fiduciosi che i 10 team scelti si riveleranno i migliori tra i migliori”. In particolare la regione Emea racchiude un’enorme varietà di culture e linguaggi differenti: “Per noi è stata una vera sfida, soprattutto per il sistema delle Challenger League (tra cui la nuova Rinascimento italiana ndr) e delle Ascension. Il nostro obiettivo era comunque uno: realizzare dei tornei che permettessero a più giocatori possibili di partecipare e di mettersi in mostra per competere con i migliori.”
Infatti rispetto a League of Legends, su Valorant una squadra può partire dal basso e scalare l’intera struttura competitiva. “Tale decisione è stata presa basandosi su due aspetti fondamentali: il primo è che non solo la scena competitiva ma il videogioco in sé di Valorant è ancora giovane, in evoluzione, e pertanto vogliamo lasciare la porta aperta a tutti quei team che vogliono entrare nella scena, consentendo loro di intraprendere la classica corsa ‘from zero to hero’, da sempre amata dagli appassionati di sport e esports”, come nella classica favola di Cenerentola, aggiungiamo noi.
“Immaginate una squadra che parte dalla propria Challenger League locale, passa per l’Ascension, compete in un VCT e magari si qualifica per i Champions, il mondiale: una struttura competitiva totalmente chiusa non lo avrebbe permesso e avremmo perso una fantastica narrazione.” E la seconda ragione? “La seconda ragione è il numero di team che vuole far parte di Valorant: oltre i 30 selezionati per le leghe globali, ce ne sono tanti altri equamente validi che hanno molto da offrire alla scena competitiva e noi non vogliamo escluderle.”
Game Changers: quale futuro?
Da due anni, da quasi subito possiamo dire, Riot Games ha puntato fortemente anche sulla scena femminile di Valorant, accogliendo al suo interno anche quelle categorie spesso discriminate come le persone non-binarie. Il Game Changers, un’intera struttura competitiva a loro dedicata, è stata un successo: continuerà? “Cambiare le regole del gioco è qualcosa su cui Riot ha sempre puntato: noi crediamo che nel tempo questo programma porterà risultati sempre migliori incentivando le donne a competere ancora di più nel circuito Vct e negli eventi globali”, ha auspicato Ringland.
“Ci sono in questo momento troppe barriere nei loro confronti e il Game Changers aiuta le aspiranti giocatrici proprio a superarle e rivendicare il proprio posto in Vct che meritano assolutamente”. E la risposta delle giocatrici è stata immediata: ogni torneo ha registrato sempre più iscritti con l’ultimo torneo che ha registrato il sold-out con 128 team partecipanti. La strada, tuttavia, è ancora lunga: “Ciò che abbiamo riscontrato è la disparità a volte enorme tra queste giocatrici partecipanti ai tornei: alcune di loro sono già vicine al livello del Vct, altre sono molto lontane. Un indizio arriva dal dato che circa il 70% dei game si è chiuso con un 13-0”.
Motivo che ha portato Riot Games a introdurre delle modifiche per il 2023: “Il nuovo sistema offre uno spazio più sicuro per le giocatrici che hanno appena iniziato il proprio percorso competitivo, permettendo loro di maturare e crescere prima di affrontare quelle avversarie che sono già quasi al livello del Vct.”
Il futuro di Valorant
Nel lungo periodo Riot Games ha l’obiettivo di creare un ecosistema che metta al centro chiunque ne faccia parte: che siano spettatori, giocatori o professionisti: “Che tu sia tifoso di una squadra, o un giocatore delle Challenger League, o una giocatrice del Game Changers, noi vogliamo che tu ti senta come se non ci fossero limiti o barriere e parte integrante del grande sistema competitivo di Valorant. Vogliamo creare un ecosistema vivo e vibrante in cui trovare infiniti e continui momenti di hype e ricordi per chiunque ne vorrà far parte.”