Simone Trimarchi, segreti e consigli del Marty McFly degli esports italiani

Ha vissuto in prima persona buona parte della storia degli esports italiani. Oggi, a 42 anni, torna in campo assieme a Vieri e Corradi, e ha qualche consiglio anche per i nuovi caster. Il suoi segreti? Preparazione, tenacia, ma soprattutto tanto studio.

Chiunque abbia seguito qualche competizione eSports in Italia avrà quasi certamente sentito nominare Simone “Akira” Trimarchi. Simone ha vissuto in prima persona buona parte della storia degli esports in Italia, fin dal 1997 quando, diciottenne, fonda quello che è uno dei primi team esports italiani, il team “Sol”. Nel 2001 vince il primo campionato italiano di Starcraft, diventando il primo campione italiano di questa disciplina, e andando in Corea del Sud a disputare le olimpiadi dei videogiochi. Quattro anni più tardi, è il 2005, Akira, che nel frattempo aveva cominciato anche a castare, si avvicina a uno dei principali tournament organizer mondiali, Esl (le cui operazioni in Italia sono gestite da Pro Gaming) diventandone, nel 2017 la voce ufficiale.

Fino a fine 2020 quando, non senza titubanze, compie una piccola rivoluzione che nel giro di qualche mese lo riporta all’inizio. E da qui è iniziata la nostra chiacchierata con lui, con il Marty McFly degli esports italiani, che ci racconta di come, dall’inizio di quest’anno, abbia avuto la possibilità, quasi un quarto di secolo dopo la prima esperienza, di tornare alle origini, di tornare a far parte di un team esport.

Dall’inizio di quest’anno“, racconta Akira, “ho lasciato Esl Pro Gaming per diventare eSportsmanager di una digital company che si chiama Cookies Digital. Cookies si occupa di telecomunicazioni e lavora principalmente con l’estero. Io, anche se non come prima,
continuo a occuparmi di esports”.

Ed è così che, ora, hai avuto l’opportunità di entrare, o per meglio dire rientrate, in un team esport? “Sì, soprattutto grazie al mio lavoro sui social. Mi hanno proposto di diventare ambassador di Plb. Così, a 42 anni, e a 24 anni di distanza dalla mia prima esperienza, torno a far parte di un’organizzazione esports“.

Spiegaci cosa è Plb? “Non è un vero e proprio team di pro-player, è più una community aperta a tutti. Così la intendono Christian Vieri e Bernardo Corradi, che l’hanno creata con l’idea di dare vita a un ambiente in cui far crescere i prospetti più talentuosi. Con allenamento, metodo e benessere psicofisico. Plb infatti deriva dalle iniziali di tre parole: power, leadership e balance”.

Per Plb di cosa ti occupi di preciso? “Oltre a fare l’ambassador, e quindi diffondere la cultura degli esports, ad esempio con i miei video settimanali della serie ‘Colazione con Akira’, ricopro anche il ruolo di mentor. Plb si occupa di tutte le figure che fanno parte del panorama esports, tra queste ci sono anche i caster, e proprio dei giovani, futuri, caster, dovrò occuparmi“.

Interessante, quindi di fatto insegnerai una professione a dei futuri professionisti. “Darò dei suggerimenti, delle indicazioni, non terrò corsi. Anche perché ritengo che sia ancora un po’ presto per una scuola di caster in Italia. Si sono create alcune opportunità, cose che prima non c’erano, ma il settore rimane ancora piccolo per avere una necessità di formazione. Quello che posso fare io è dare ai ragazzi una mano nel crescere a livello professionale“.

Ragazzi che poi si inseriranno nel mondo del lavoro e potranno vivere facendo i caster, è
possibile? “No, attenzione. Al momento io non conosco nessuno in Italia che vive facendo solo il caster. Penso che anche i più famosi, ad oggi, senza Twitch, senza essere anche creatori di contenuto, non avrebbero modo di arrivare a fine mese. Anche perché determinati posti di caster oggi nel nostro Paese vengono presi da chi ha competenza, ma soprattutto da parte di chi ha visibilità e può quindi ‘garantirla’ a competizioni e sponsor”.

Quindi bisogna essere versatili e non focalizzarsi solo sull’idea di commentare gli esports?
Direi che bisogna avere passione. Ci sono tanti che si improvvisano, ma è un settore dove la passione è il punto primo. Anche se le aziende sembrano non aver bisogno di professionisti, ma di gente appassionata, che viene dalla community dei player e nella community rimane”.

Quindi che consiglio ti sentiresti di rivolgere oggi ad un aspirante caster? “Innanzitutto direi che è meglio puntare su più titoli. Essere quindi competenti su più giochi, ma senza smettere di approfondire quelli più nazional-popolari, come Fifa ad esempio, poi Pes, League of Legends e Rainbow Six. Questi non devono essere dimenticati da un aspirante caster“.

Possiamo dire che suggerisci quindi di essere pronti per una realtà che ancora non c’è, ma
che sta crescendo? “La scena esports italiana attualmente può comunque dare varie opportunità di lavoro, e non solo a ragazzi giovani, come dimostra il sottoscritto. Ma c’è ancora tanta strada da fare. Gli esports possono offrire opportunità da tanti punti di vista, ma credo che per il futuro sia auspicabile che si riescano a creare link il più virtuosi possibili con le scuole. Primo perché ho notato è che tanti ragazzi vogliono capirne di più, su esports e sulle opportunità, e a volte non sanno da dove partire, ma soprattutto per un altro aspetto…

Sempre legato alla scuola? “Sì, deve passare il messaggio che studiare è importante. Anche io ad esempio sono stato scelto da Plb che ha riconosciuto quello che ho fatto nel corso degli anni, ma è giusto dirla tutta: gli spazi che mi sono conquistato credo sia stati anche merito della mia laurea in ingegneria. Quando vado a parlare con brand e aziende questo è un aspetto che emerge sempre“.

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