Valorant: GUGLi sulla scena italiana e quella americana “la differenza è la professionalità”

Durante il Red Bull Home Ground abbiamo avuto l’opportunità di fare due chiacchiere con Guglielmo “GUGLi” Carraro, assistant coach dei Cloud9 per scoprire come un italiano sia arrivato ad allenare una delle squadre più forti del mondo nello sparatutto tattico di Riot Games. Vista la sua posizione privilegiata all’interno dell’industria ne abbiamo approfittato per farci dipingere in quadro dell’industria esportiva che lui vive lavorando dall’Italia per una compagnia americana, e quella in cui è cresciuto come giocatore di Counter-Strike.

Quando hai cominciato con gli esports e come sei arrivato ai Cloud9?

“Sono 17 anni che sono negli esports: in Italia ho iniziato con Counter-Strike, ho giocato per 10 anni e poi nel 2018 ho iniziato a fare il coach e a lavorare con i Qlash. In questi anni ho conosciuto, prima come compagno di squadra e poi come avversario, l’allenatore dei Cloud9. Nel 2023 lasio i Qlash e nel giro di qualche mese scopro che i C9 cercavano un assistant coach. Ho fatto i colloqui e mi hanno preso: per me è stato l’inizio di un nuovo percorso che spero sia molto lungo”.

Come è stato passare da giocatore ad allenatore?

“Inizialmente è stato difficilissimo: come tutti i giocatori decidere che è arrivato il momento di smettere di giocare è difficile. Il mio passaggio non è stato molto “voluto” diciamo. La mia squadra di allora mi aveva rimosso dal mio ruolo, poi sono stato convinto a rimanere come allenatore: i ragazzi mi avevano dato fiducia, ero una delle prime persona in questo ruolo e qualche anno fa era una figura non comune. Ora sono molto contento anche se spesso sono quasi più nervoso di quando giocavo”.

Quali sono le differenze principali tra la scena italiana e quella americana?

“Pensavo che il passaggio sarebbe stato molto diverso, in realtà, a livello di come sono i giocatori lato comportamentale, le similitudini sono molte. La differenza è nella professionalità: le cose sono più organizzate, i giocatori sono aperti a provare un po’ tutto, e quando le cose funzionano si vede. Il metodo di lavoro, in generale, è diverso: se in Italia ero l’allenatore, il manager e lo psicologo, qui posso concentrarmi sul mio ruolo e basta anche perché c’è molto più staff molto più esperto e competente”.

Come trovi il rapporto tra Valorant e Counter-Strike? Le due scene sono ancora così collegate?

“L’Italia si è spostata quasi tutta su Valorant appena è uscito il gioco, io sono stato uno dei primi a farlo con la beta. Il gioco in sé ha tante similitudini a livello tattico ma ora i player si stanno trasformando in professionisti veri e propri di Valorant che arrivano avendo giocato solo a questo gioco. Prima tutti i pro erano ex di qualcos’altro (CS, Overwatch, Apex), ora i nuovi arrivano sulla scena avendo iniziato direttamente su Valorant”.

Qual è la tua filosofia di allenamento?

“Credo che, come allenatore, qualsiasi cosa succeda quando finisce il mio lavoro con qualsiasi giocatore sia passato sotto di me, il mio obiettivo è farlo migliorare a livello di gioco e a livello personale. Devono uscire con una mentalità vincente: bisogna prima creare delle basi di gameplay per portarle anche nelle altre squadre e capire cosa vuol dire vincere. Per me vincere significa accettare che ogni partita è uguale alle altre, anche le finalissime, bisogna sapere che il lavoro fatto non se ne va, se non vinci quella partita è comunque un passo verso la prossima vittoria e bisogna credere in sé stessi e nella squadra. C’è un grande lavoro dietro questa cosa e un’unione di gruppo non solo nella squadra ma anche con lo staff”.

Torneresti a lavorare per un team Italiano?

“Se venisse una squadra italiana a dire ‘vieni e lavora con noi’ direi di no, sto bene in C9. Se dovessi smettere qui e mi arrivasse un offerta forse!. Ho imparato a non guardare troppo al futuro e di concentrarmi sul presente, è la realtà degli esport. Io do il mio massimo sempre”.

Come vedi l’ecosistema di Valorant?

“Abbastanza bene: agli alti livelli, l’anno scorso il calendario era un po’ stretto, tra VCT America ed Europa, c’erano 2 settimane di pausa. Ora c’è molto più tempo e il calendario è più lungo con le finali che sono a settembre. Quest’anno iniziamo prima e c’è tempo per fare le competizioni Tier 1. L’anno scorso abbiamo dovuto correre un po’ con cambiamenti all’ultimo, ma quest’anno siamo messi bene. Vorrei vedere più opportunità nel tier 2, io guardo tutto ed è sempre belle vedere che ci sono gli eventi che motivano. Anche l’offseason è stata ottima, avremmo giocato anche più eventi, ma siamo contenti”.

Dove vorresti arrivare dentro i Cloud9?

“Da allenatore, se non avessi l’ambizione di diventare capo allenatore, credo che mancherebbe qualcosa in me. Alla fine della fiera voglio vincere e credo in me stesso abbastanza da poter portare una squadra a dare il meglio. Io vorrei diventare Head coach e vincere il più possibile, magari un mondiale”.

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