Abbiamo discusso del presente, del passato e del futuro di Valorant con l’uomo al timone: Arnar Hrafn Gylfason
Nella cornice del Lucca Comics and Games abbiamo avuto l’opportunità di parlare con Arnar Hrafn Gylfason product lead di Valorant (appena sbarcato in Cina e con una media di 28 milioni di giocatori al mese) che ha lavorato al gioco fin dai suoi primissimi momenti. “Sono sette anni che lavoro a Valorant, ora gestisco tutta la sua produzione per fare in modo che tutto ciò che creiamo raggiunga i giocatori nella miglior forma possibile” ci ha detto. Nella nostra intervista abbiamo deciso non di concentrarci sull’immediato futuro dello Sparatutto di Riot Games e sull’arrivo del controverso Iso, bensì sulle sue origini, su quelle cose che hanno ispirato la nascita dello sparatutto e del suo ecosistema casual e competitivo. Ecco la nostra chiacchierata, senza modifiche e senza filtri, per farvi fare due chiacchiere direttamente con l’uomo al timone di uno degli sparatutto tattici più giocati del pianeta.
Perché è nato Valorant?
“Oh, wow, servirà tempo per questa domanda (ride). Quando l’idea di Valorant è iniziata ad emergere, lo ha fatto in un momento in cui i tactical shooter competitivi non stavano molto bene. Non erano così popolari come lo sono oggi e c’era molto margine di miglioramento nel modo in cui si relazionavano con la community. C’erano alcuni fondamentali da rivedere come il sistema di matchmaking, l’anti cheat, la latenza e i sistemi che supportano l’ecosistema competitivo. Da lì ci siamo resi conto che a Riot avevamo l’opportunità pressoché unica di farci qualcosa e di risolvere alcuni dei problemi che, da giocatori, ci davano fastidio. Potevamo introdurre nuove opportunità non solo per cambiare il modo in cui questi giochi sono realizzati, ma anche quello in cui vengono supportati. Da lì è nata l’idea di fare il gioco che noi vorremmo provare in quanto giocatori. Non parliamo solo del videogioco ma dell’intera infrastruttura, dello stile artistico e di tutte quelle cose di cui fa parte l’esperienza del giocatore.
Counter Strike è stato un punto di riferimento per noi, non è un segreto. La maggior parte di noi ‘founder’ di Valorant giocava una valanga di CS, 1.5, 1.6, GO, li abbiamo amati tutti. Nel team c’era anche chi giocava a Rainbow Six, a Overwatch e a Call of Duty, lo spettro degli sparatutto competitivi era praticamente tutto coperto. Questi giochi ci hanno influenzato sia in quello che abbiamo fatto sia nel capire cosa mancava per offrirlo ai giocatori. Una delle cose più importanti per noi mentre lavoriamo è chiederci ‘chi vorrà giocare a questo gioco e perché. Chi si innamorerà di Valorant? Perché continuerà a giocarci e ad amarlo?’ Poi ci impegniamo a mettere a terra ciò che i giocatori potrebbero volere. Capire cosa vogliono i player è importante per offrire un prodotto unico in termini di stile artistico e a livello tecnico dando, soprattutto ai più competitivi, cose fondamentali come i server a 128 tick”.
Quanto è diverso il gioco che giochiamo oggi da quello che avete immaginato nella sua infanzia?
“Per quello che riguarda il nucleo più profondo in fatto di combattimento, movimento e gunplay (quindi padronanza delle armi e schemi di rinculo), il gioco è estremamente simile a quello che abbiamo immaginato nella sua infanzia. Se dovessimo togliere tutto il lato artistico e di proprietà intellettuale, magari anche qualcuno degli agenti più nuovi, e guardassimo alle sue fondamenta, vedremmo qualcosa di molto simile non al nostro punto di inizio ma a quel momento, all’inizio dei lavori, in cui ci siamo detti: ‘Abbiamo un concept fatto di agenti, gadget, strategia e tanti modi di approcciarsi a uno scontro (come la raccolta di informazioni o l’ingresso aggressivo in un sito) che farà di questo gioco un grande sparatutto tattico’. Come Valorant si mostra al pubblico, invece, è il risultato di tantissima iterazione”.
Come nasce un nuovo agente?
“Un sacco di persone intelligenti che lavorano insieme, così nasce un agente. Guardiamo a tante cosa, prima di tutte al kit, chiedendoci ‘cosa aggiunge in modo unico al gioco?’ Questo è il primo passo. Una volta trovato il suo spazio unico nel meta, cosa che richiede un sacco di lavoro, poi troviamo la sua personalità e soprattutto, la sua power fantasy: da dove viene il suo potere, è tecnologia? É radianite? Che cos’ha di interessante con cui giocare? Una volta capito se è un controller, un initiator o un duelist capisci in che direzione va il resto del personaggio all’interno della sua categoria. Poi ci chiediamo chi sia questa persona, da dove venga e quale sia il suo background per stabilire un’identità visiva, sonora e narrativa. L’obiettivo è permettere a quante più persone possibile di vedere qualcosa si sé all’interno di un personaggio avvicinandole così al gioco”.
Ogni agente ha uno stile unico non solo nel suo kit ma anche nei suoi vestiti, come nasce l’identità visiva di un agente?
“I nostri agenti sono la manifestazione più concreta di ciò che, culturalmente, Valorant è. Attorno a loro c’è l’arte, la musica e soprattutto la rappresentazione. I nostri agenti devono essere uno specchio per le nuove generazioni, che sono il nostro target primario. Come vogliono vestirsi? Così devono vestirsi i nostri agenti. Cosa vogliono ascoltare? Non chi è in trend su Spotify ma chi li rappresenta di più. Bisogna studiare il mondo, studiare le culture e le regioni. La musica è uno dei pilastri attorno a cui costruiamo i nostri agenti, noi cerchiamo nuova musica contemporanea e ci chiediamo, ‘l’agente ascolterebbe questo nuovo artista? E cosa indosserebbe a un suo concerto?’ I nostri personaggi sono aspirazionali, devono rappresentare ciò che una persona vorrebbe essere. Farli il più completi e autentici possibile rispettando la loro regione di appartenenza è una missione difficile ma che premia sempre i nostri sforzi.
Questo processo funziona anche al contrario: ci hanno scritto in migliaia dicendoci che grazie al loro main su Valorant hanno scoperto nuova musica del suo paese di origine. Avere una colonna sonora di artisti contemporanei è fondamentale per noi, è uno dei nostri punti di partenza per delineare chi sia quella persona”.
Quante iterazioni ha una mappa prima di essere rilasciata?
“Troppe… centinaia, migliaia. Prima nasce il layout generale, poi i muri, poi le scatole, le cose a cui sparare attraverso, le cose trasparenti e, infine, quegli elementi che rendono unica la mappa, sia a livello di strumenti, come i teletrasporti o le zipline, sia a livello estetico. Spesso iniziamo con un’idea per un enigma da risolvere, come le porte da rompere su ascent o il triplo site di Heaven. Poi pensiamo a cosa possiamo fare per costringere il giocatore a ripensare il suo approccio al gioco. L’obiettivo di una mappa è sempre quello di rimescolare le carte e creare un modo nuovo per fare combaciare i pezzi del puzzle che dicevo prima. Non importa cosa facciamo in fase di design, pensiamo sempre alle figate che i giocatori, soprattutto i professionisti, potrebbero farci. Noi giochiamo costantemente e anche noi facciamo delle belle azioni e a quel punto ci viene subito da dire ‘pensa a cosa ci faranno i giocatori appena uscirà’. A volte passano i mesi tra quando finiamo una mappa e quando ci sentiamo pronti a rilasciarla perché dobbiamo provare tutte le combinazioni di abilità in ogni angolo. Quando esce, ovviamente, i player, trovano modi di approcciarsi a cui noi non avevamo pensato minimamente e per questo che dobbiamo intervenire e ribilanciare”.
Qual è la vostra filosofia di bilanciamento del gioco?
“Noi non cambiamo mai qualcosa per il gusto di cambiare, crediamo che niente debba essere perfettamente bilanciato: ogni nuova aggiunta deve destabilizzare un minimo lo status quo. Quello che facciamo ha uno scopo e punta a risolvere qualcosa che non funziona o che funziona troppo bene. Crediamo debba esserci sempre una contromossa da poter mettere in campo in un ciclo continuo di apprendimento e destrutturazione di ciò che è stato perfezionato. Vogliamo che Valorant sia il miglior videogioco competitivo di sempre, questo è ciò che vogliamo noi e ciò che vogliamo per i nostri giocatori a tutti i livelli, casual, amatoriali, tier 1 e tier 2. Non vogliamo un premio ma la capacità di dare a chi gioca un’esperienza completa, scalare e modulare”.
Vuoi dire qualcosa alla community italiana di Valorant?
“Grazie a tutta la community italiana, grazie per la vostra passione e per il vostro coinvolgimento: la nostra missione è farvi divertire”.