Un mercoledì mattina chiacchierando di esports a Milano nella sede di We Are Social, un team internazionale che “aiuta i brand ad ascoltare, capire e attivare conversazioni sui social media”. Una conferenza che alterna vide, slides, testimonianze su come si è sviluppato il mondo del gioco competitivo negli ultimi anni, sul suo potenziale inespresso e su come i grandi marchi incidono o possono incidere su di esso.
La platea è numerosa e variegata ed è doveroso per gli organizzatori fare un panorama di numeri e dati per fare capire l’entità del fenomeno. Ninja sposta milioni di utenti da Twitch a Mixer facendo felice Microsoft e supera Cristiano Ronaldo come numero di interazioni sui social network. E’ lo spunto per capire a che livello i brand internazionali si stanno accostando al mondo esports. Da Red Bull ad Adidas a Mercedes, i grandi marchi stanno spostando i lori investimenti sul settore del gaming, a livello di sponsorship e di advertising.
Come mai delle aziende “tradizionaliste” dal punto di vista dell’approccio al marketing e alla pubblicità, per età dei management e strategie di comunicazione, si stanno spostando in maniera così massiccia sugli esports? Perchè ne hanno finalmente colto il potenziale e perchè la platea degli appassionati, con la nuova tecnologia 5G e la diffusione capillare del mobile gaming (già oggi al 50% del mercato globale), diventerà sempre più ampia.
Lo spiega Luca Casaura, Head of Brand & Advertising di Vodafone: “La nostra azienda si fonda sulla connessione e non c’è niente più del gaming che facilita la connessione tra le persone. Con il 5G il trasferimento di dati sarà talmente veloce da essere quasi superiore all’occhio umano e per chi gioca questo è un aspetto fondamentale, perché fornisce un vantaggio competitivo. Aumenterà la platea di players perché si potrà giocare dovunque e in qualsiasi momento con una qualità di connessione altissima. Vodafone crede molto e sta investendo molto nella promozione di personaggi (vedi Pow3r) e tornei”.
Antonio Jodice interviene in rappresentanza di ESL, spiega le attività e lo sviluppo della sua azienda e spiega come siano molteplici le possibilità di investimento per le aziende che entrano in questo mondo: “Il target è ampio, va dai 16 ai 34 anni, si rivolge a studenti e giovani professionisti. E c’è la possibilità di raggiungerli, durante gli eventi live, con interventi e stand dedicati; con la brandizzazione dell’evento; con la consegna di gadgets; con i loghi che a rotazione passano sugli schermi. Una varietà infinita”.
Non mancano le testimonianze dei protagonisti. I pro player “Stermy” (Alessandro Avallone) e “Paolocannone” (Paolo Marcucci) raccontano la loro storia, quella dei loro nickname e quella che li ha avvicinati al mondo del professionismo. Stermy si è avvalso dell’appoggio incondizionato dei genitori e ha sfruttato l’occasione, a 17 anni, di passare un anno negli Usa per diventare professionista. “Una scelta azzardata” l’ha definita, per l’epoca in cui è stata presa. “Oggi l’industria esports è molto più consolidata, i team hanno a disposizione mental coach, preparatori atletici. La scelta sarebbe stata più facile e la prossima generazione sarà quella che vivrà appieno il boom del nostro mondo”, ha concluso Stermy.
Paolo Marcucci, invece, si divide tra il ruolo di giocatore professionista e “streamer”: “Vincere o fare una bella azione di gioco davanti a tanta gente entusiasta è sicuramente un’emozione unica, irripetibile, da provare nella vita. Ma è molto gratificante anche tenere compagnia a tante persone che ti seguono live mentre giochi online, strappare sorrisi. E’ anche meno stressante che avere sempre in testa giocare e vincere”.
Tre ore per comprendere meglio, insieme a We Are Social, il perchè in questi mesi e nei prossimi anni i grandi marchi mondiali riverseranno soldi su publisher, team e tornei esports. Il bello deve ancora venire, direbbe qualcuno.