Nella community di Rainbow Six Siege si è aperto un dibattito sui troppi giocatori esteri protagonisti nel prossimo Pg Nationals. Ne abbiamo parlato con RRock e Qaentin, manager di Macko Esports e Outplayed.
Nell’ultimo Promotion Tournament del Pg Nationals di Rainbow Six Siege abbiamo visto numerosi roster esteri. Tanto che nella community, cercando di trovare una chiave ironica, si è cominciato a parlare di campionato francese piuttosto che italiano. Ad alcune organizzazioni è andata bene, come nel caso di Outplayed e Totem Esports. Ad altre male, con Cyberground Gaming e Mad Wizards che hanno perso il proprio slot. E allora perché tante organizzazioni hanno deciso di affidarsi a giocatori stranieri? Abbiamo provato a parlarne con Luca “RRock” Allocca e Antonio “Qaentin” D’Auria, rispettivamente manager di Macko Esports e Outplayed.
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“Premetto che quello che sto per dire – le parole di RRock – non rappresenta il pensiero di Macko, ma è una mia personale opinione maturata dopo anni di esports e come creatore di contenuti. Sento spesso parlare di mancanza di professionalità da parte dei giocatori italiani e mai dell’influenza che l’ecosistema italiano ha su di essi. La professionalità dei giocatori cresce a pari passo della realtà in cui vivono. Più si è vicini ad un ambiente professionale, più si apprendono le dinamiche strutturali e gli atteggiamenti di questo. Non per nulla i nomi italiani che girano intorno a questo panorama sono sempre gli stessi e raramente vediamo qualcuno di nuovo”.
Per il manager dei Macko la mancanza di figure specializzate è uno dei problemi: “In italia siamo in crescita, le organizzazioni si strutturano sempre più ed imparano dagli sbagli del passato, ma mancano ancora alcune figure specializzate fondamentali. Ad esempio, manca supporto ai più giovani e quelli che vengono definiti “talent scout” spesso non conoscono neanche il gioco. Oppure vedo molto spesso una persona che ricopre più ruoli come un tutto fare all’interno dello staff. Con l’introduzione delle academy qualcosa si sta muovendo. Questo strumento, però, viene ancora preso sottogamba da alcuni”.
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Quale potrebbe essere, dunque, il modo migliore per bilanciare giocatori italiani con quelli stranieri? “Investendo su uno staff preparato che dia un supporto attivo può evitare che si vada a cercare fuori dal Bel Paese soluzioni più sicure. Reintrodurre la regola dei 3/5 potrebbe essere una scappatoia, non una soluzione. Rimarrebbe sempre il problema di mancanza di professionalità. Creare dei team eterogeni può comunque aiutare gli italiani ad apprendere dai propri coetanei. Ho avuto giocatori che grazie al contributo degli stranieri ed alla loro esperienza sono cresciuti notevolmente. Lo stesso discorso vale anche per il coaching staff, abbiamo pochissimi coach e analyst italiani e tra questi quelli con esperienza si contano sulle dita di una mano”.
Qaentin degli Op, invece, pone l’accento su un altro discorso. Ovvero, non c’è nessuna preclusione nei confronti di giocatori italiani. “Da circa cinque anni – ha ammesso Antonio D’Auria – proprio con i giovanissimi su console siamo diventati il punto di riferimento della scena competitiva. Questo per dimostrare che non vi è nessuna preclusione verso i nostri giovani. Anche su Pc abbiamo avuto sempre roster italiani. Le carte in tavola sono cambiate durante le Relgation dell’ultimo Winter Split, dove le cose non sono andate bene, a differenza di quest’ultimo Split. Con questo voglio dire che non esiste alcuna formula magica per vincere. Si cerca di fare il massimo a prescindere”.
A conferma di questa tesi, lo stesso Qaentin ci ha raccontato un episodio emblematico: “Prima di prendere l’ultimo roster europeo con cui abbiamo centrato la qualificazione al prossimo Pg Nationals ho cercato in tutti i modi di affidarmi a giocatori italiani. C’è stata da parte nostra anche la volontà di provare ad ingaggiare un roster che ha fatto le qualificazioni. La mia proposta è stata rifiutata. Ognuno fa le proprie scelte, ci mancherebbe, ma non abbiamo giocato al ribasso perché italiani. La proposta economica era uguale e identica a quella fatta all’attuale roster europeo degli Outplayed”.
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Il problema, quindi, potrebbe essere legato ad uno step mentale che alcuni giocatori devono ancora fare: “Per quanto riguarda l’applicazione al lavoro credo che pochi italiani siano in grado di lavorare seriamente. Quelli che lo fanno su Rainbow Six sono già nei top team come Mkers e Macko. Ultimo aneddoto: recentemente siamo stati contattati da una academy. Serviva supporto per l’iscrizione ad un torneo minore. Lo abbiamo fatto appunto per incentivare cinque giovani italiani. Sapete come è finita? Si sono sciolti senza motivo e successivamente sono stati squalificati dal torneo. Non passi, dunque, l’idea che noi non vogliamo dare fiducia agli italiani o che non sono all’altezza. Abbiamo provato in ogni modo a prenderli, ma qualcuno non ha saputo sfruttare l’occasione. Diciamo che con un pizzico di umiltà e consapevolezza dei propri mezzi la situazione migliorerebbe”.
Non vogliamo condizionare in nessun modo i vostri pensieri a riguardo. Il nostro obiettivo era quello di creare un confronto. Entrambi i discorsi, però, seppur differenti per alcuni aspetti si assomigliano in altri. Se da un lato è vero che spesso bisogna fare i conti con organizzazioni poco professionali, dall’altro anche alcuni giocatori devono maturare nella mentalità. In conclusione, una verità assoluta non esiste. Ognuno lavora in base a quelle che sono le proprie esigenze. La reintroduzione del vecchio regolamento nel prossimo Winter Split di Rainbow Six Siege potrebbe spegnere un po’ di polemiche, ma per fare un ulteriore step c’è ancora tanta strada da fare sia da una parte che dall’altra.