Dall’Italia a Budapest e da Budapest a Development director di uno dei videogiochi di macchine più innovativi e chiacchierati dell’ultimo anno, Gero Micciché è un esempio di intraprendenza italiana e amore per i videogiochi. GRID Legends (il racing game di Codemasters e EA che abbiamo recensito poco tempo fa) è l’ultima grande opera a cui ha contribuito ma prima ha sviluppato videogiochi per la Disney e lavorato come giornalista. Ci siamo fatti una chiacchierata in cui mi sono fatto raccontare la sua storia, le sue passioni e le sue speranze per il futuro.
Come sei diventato il Development Director di GRID Legends?
Sono una creatura anomala nell’ambiente del game development. Sono laureato in giurisprudenza alla Bocconi e il mio destino era quello di diventare avvocato ma i percorsi tradizionali non fanno per me. Ho cominciato a lavorare come giornalista in tv ma poi sono passato alla produzione. Per 4 anni ho gestito una tv siciliana ma il mio pallino dei videogame mi restava sempre nel retro della testa. In Italia non esistevano scuole, che si sono sviluppate solo negli ultimi anni, e quello che si faceva ai tempi era fare gli autodidatti. Ho deciso di imparare dei tool con cui anche un non programmatore potesse costruire un gioco e da Game designer in erba ho pensato che questi prodotti potessero integrarsi con l’attività televisiva. Così sono nati i miei advert-game, dei mini giochi per fare pubblicità a un prodotto, un fallimento poderoso perché all’inizio nessuno li voleva ma poi dal nord italia sono arrivati alcuni clienti interessati. Ho deciso di scommettere di più su questo settore, ho fatto per 2 anni learning games e gamification e poi, continuando a investire in questa direzione, sono passato al mobile. Da Lì sono passato ad un’azienda italiana dove mi hanno poi offerto un lavoro a Gameloft, a Budapest, per fare da producer a dei giochi Disney. Ho lavorato 2 anni a Budapest ed è stato bellissimo ma poi, durante la pandemia, mi è stato offerto da CodeMasters e EA una posizione da producer per Grid Legends di cui sono diventato development director. Ora insegno in alcune di quelle scuole che negli anni sono emerse (Digital Bros, Event Horizon) per formare giovani game producer.
Il tuo rapporto con il mondo delle corse come ha influenzato lo sviluppo di GRID Legends?
Sono onnivoro in fatto di passioni: musica, letteratura, sport, il che si traduce bene nella produzione videoludica. I racing game mi sono sempre piaciuti molto, ho sempre preferito gli action ai i sim ed entrare in GRID è stato pazzesco per me proprio perché è senza fronzoli, è più diretto, abbordabile e divertente. Io mi sono occupato sia della narrativa sia della virtual production dove il mio background televisivo si è rivelato utilissimo. Per Grid Legends abbiamo prodotto l’equivalente di una piccola serie tv con Ncuti Gatwa di Sex Education, e per la prima volta ho partecipato a una vera e propria produzione in stage craft come in The Mandalorian. Qui sento di aver avuto il maggior impatto sia grazie al mio backgroung sia con il mio modo di fare per cui mi sono interfacciato spesso con i creativi per dare la giusta direzione al mio ruolo.
Perché avete scelto l’approccio in stile documentario sportivo di Netflix?
Quando sono entrato in GRID le discussioni su questo modo di fare sport game erano già in corso. É un trend che dà i suoi frutti e io ho spinto molto su questa linea. Credo che lo sport videogiocato, anche nel mobile, anche nel free to play, stia abbracciando sempre di più il mondo della narrativa. Prima non serviva ma ora il gioco semplice (quindi fatto solo di gameplay) non basta, ci vogliono delle storie e io mi sono innamorato dei videogame proprio perché sono veicoli di avventure fantastiche; per cui sono solo felice di vedere questo trend realizzarsi. Con “Driven to Glory” abbiamo voluto fare da apripista, non solo per le tecniche utilizzate ma anche perché vogliamo stabilizzare il modello. Lo sport è il genere più nuovo all’universo narrativo ed esperienze simili comporteranno il coinvolgimento di sempre di più attori che capiscono quanto i videogame siano una destinazione ambita. Abbiamo visto Keanu Reevs in Cyberpunk e Norman Reedus Death Stranding, ci avviciniamo sempre di più al cinema per ambizione.
Ho partecipato a molte discussioni nella writing room e uno dei punti fondamentali è stato trovare un ruolo perfetto per ciascun personaggio. Abbiamo preso alcuni protagonisti iconici di GRID e TOCA, i McCain, e gli abbiamo dato un volto, una cosa che è stata accolta con grande gioia dai fan. Sono personaggi fortissimi che rischiavano di adombrare il protagonista-giocatore. Non andava bene il competitor dal buono spirito come Ncuti Gatwa, perciò Nathan McCain è diventato iconico come cattivo, come avversario da battere: antipatico e fascinoso. Queste dinamiche fanno da contraltare narrativo al gameplay, in particolare al sistema di nemesi in cui abbiamo usato il machine learning e l’AI per insegnare agli avversari controllati dal computer lo stile di gioco del player per batterlo ad armi pari.
Com’è stato forgiare un nuovo capitolo di una saga storica come TOCA/GRID?
Fin da piccolo, proprio per la mia tendenza onnivora ad assorbire le cose più varie (soprattutto nei videogiochi) ho provato veramente di tutto. TOCA race driver, il primo con i McCAin, è stato uno dei miei giochi preferiti ai tempi. Nel 2008, poi, Race Driver GRID e il suo sistema del flashback, ha democratizzato il mondo delle corse: erano pochi i titoli davvero inclusivi, vari e competitivi insieme. GRID è riuscito a fare tutto questo con innesti veramente geniali. Essendo un giocatore racing concentrato sull’action, questi pilastri, Toca race driver e Race Driver GRID mi hanno profondamente legato alla serie. In GRID Legends, quello che ho provato personalmente a fare, su cui ho coinvolto quasi tutti, è stato rimanere fedele ai principi identitari della serie cercando di spingerli il più possibile e aggiungendo elementi nuovi, come il multiplayer, e la campagna. Social Living World è il motto del nostro multiplayer: abbiamo voluto creare, da un lato un’esperienza varia, dall’altro crediamo che la competitività tra utenti sia vitale e possa creare delle dinamiche uniche. Il multiplayer, per ora, ha numeri molto buoni, la gente che gioca è molto ingaggiata, e in molti, dopo le prime 10 ore di prova gratuita, comprano il titolo principalmente per le sfide multiplayer.
Come avete progettato GRID Legends in modo che fosse fedele alle sue radici ma accogliente verso i nuovi player?
Quello dei nuovi player è un pubblico target ma scottante. Da un lato devi restare coerente alla serie per fare contenta la community. Dall’altro volevamo rendere questo gioco divertente per tutti coloro che fossero alla ricerca di un racing game dinamico e vario. Abbiamo progettato un gameplay che risulti autentico, delle auto uniche e diverse tra loro e un’atmosfera racing accogliente. La curva di apprendimento è assolutamente modulare, abbiamo 5 livelli di difficoltà, dall’hard core ai meno simulativi che si adattano allo stile di gioco dei nuovi player. La storia, poi, doveva essere varia e accessibile ai giocatori più diversi, dall’Italia allo uk al Giappone agli Usa. Gameplay versatile e abbordabile, multiplayer inclusivo ed elementi classici come il drift hanno reso GRID un gioco immediato, a cui è facile approcciarsi e al contempo vario, autentico e fedele alla sua identità. Io stesso ho scoperto alcune discipline e alcune categorie di veicoli che non conoscevo e che i nostri designer ossessionati dalle corse hanno incluso nel gioco. Negli USA ci sono discipline di racing che in EU sono molto marginali, ma la stessa cosa vale al contrario per cui ognuno può trovare nel gioco sia le esperienze a lui familiari, sia un modo di correre con le macchine che magari non aveva mai visto nella vita.