La leggenda dell’NBA si schiera a favore dei giocatori professionisti di esports: “La testa conta più del fisico.”
“Io non riuscirei a fare ciò che fate voi”: inizia così l’intervento del quattro volte campione NBA Shaquille O’Neal in occasione della sua recente conversazione con Jake Lucky, volto della Full Squad Gaming. Le parole di Shaq sono ovviamente rivolte agli atleti professionisti di esports, ovvero i videogiocatori di Fortnite, League of Legends, Cs:go e tutti quei titoli competitivi che ormai hanno consentito di trasformare quella che era una semplice passione in una professione. Lo stesso Cio, il Comitato Olimpico Internazionale, già diversi anni fa si era espresso a favore del riconoscimento non degli esports in sé ma in particolare del lavoro e dell’allenamento svolto dai pro-player, in maniera “simile a quanto operato dagli atleti sportivi tradizionali”.
Pro-player come gli atleti
Shaquille O’Neal d’altronde non è nuovo al mondo esports, anzi, è stato uno dei primi a credere e investire nel settore già nel 2016, in tempi non sospetti, diventando tra i fondatori degli NRG Esports, oggi una delle più importanti realtà nordamericane. A tal punto che oggi O’Neal si dice convinto che i videogiocatori professionisti potrebbero benissimo essere considerati come tutti gli altri atleti professionisti. “Io considero i pro-player come degli atleti; e faccio loro i miei complimenti, sono orgoglioso di voi”, ha affermato Shaq, sottolineando che la parola atleta può avere mille sfaccettature ma un unico elemento in comune: la mente.
L’importanza della forza mentale
Durante la conversazione Shaq ha infatti riportato più esperienze, come la sua o quella del pluripremiato nuotatore Michael Phelps, l’atleta olimpico più medagliato della storia, in cui la mente e la salute mentale sono risultate fondamentali per arrivare al successo. Anche il nostro Marcel Jacobs, vincitore dei 100 metri piani ai Giochi di Tokyo 2020, ha dichiarato più volte come il salto definitivo di qualità nella sua corsa e nelle sue prestazioni in gara sia arrivato grazie a un cambio di approccio con la sua mental coach. “Il 15% della gara dipende dal fisico”, ha affermato Shaq: ”Tutto il resto è nella testa. Se i pro-player dicono di essere atleti io gli credo, perché il fisico conta limitatamente. E poi io non so fare ciò che fate voi.”
Una carriera precaria
Un altro punto in comune toccato da Shaq riguarda la longevità della carriera. Infatti in entrambi i casi, a parte eccezioni di leggende fuori dal comune, chi compete in questi settori ha un numero limitato di anni durante il quale raggiungere i propri obiettivi: “Sono consapevole che anche i pro-player non hanno una lunga vita ai massimi livelli. A volte tre, altre cinque, forse sei anni. Un periodo molto simile a quanto avviene nell’NBA o nell’NFL, come tanti altri atleti.”