Nell’inchiesta realizzata da Esportsmag.it e pubblicata sulla rivista GiocoNews in occasione della Festa del Lavoro 2022, le parole degli addetti ai lavori sulla dimensione degli sport elettronici, oggi, in Italia.
Dopo gli sviluppi del settore degli ultimi anni, dopo il boom legato alla pandemia e l’interessamento del Coni e di molte aziende sponsor, la scena esportiva italiana è molto cambiata. Rimangono tanti tasselli da sistemare, ma già rispetto al periodo prepandemico la situazione sembra molto diverso, con la nascita di competizioni nazionali, il consolidamento di organizzazioni importanti, e la conferma di grandi campioni ormai identificabili anche al di fuori dalla nicchia del gaming. Ma quanto è cambiato effettivamente questo settore può dirlo solo chi lo vive quotidianamente, per questo abbiamo realizzato una breve inchiesta, raccogliendo le voci dei protagonisti, giocatori e imprenditori, chiedendo loro come è, oggi, lavorare negli esports, in Italia.
Conferma che “il settore è in continua crescita da un punto di vista di numeri, audience e di interessamento da parte dei partner”, Federico Federico Brambilla Presidente e Co-Fondatore del team exeed. “Basta vedere i maggiori team italiani e tournament organizer e le nuove aziende con cui sono riuscite ad entrare in contatto. Solo noi, ad esempio, ora lavoriamo con Lg, Oled, RedBull, Coc e OpenFiber, che sono nostri nuovi partner insieme a Corsair e Adidas, che invece ci portiamo dietro dall’anno scorso. Fare esports oggi in Italia è un attività lavorativa a tutti gli effetti, ma solo pochi riescono a farlo perché quella che manca più di tutto è una professionalità a 360 gradi”.
Anche Fabio Battista, co-founder di Pro2Be, la prima agenzia di esports management in Italia, sottolinea che “siamo in crescita e che si sono create sempre più figure professionali che lavorano a tempo pieno in questo settore. Un esempio sono squadre di calcio come la Roma che hanno assunto un proprio esports manager o chi come noi ha creato la propria azienda buttandosi completamente in questa avventura. L’ambiente di lavoro è sicuramente diventato più attento e preciso, la crescita si nota soprattutto negli eventi dal vivo dove chi non è riuscito in questi anni a fare uno step in avanti a livello di professionalità inizia a subirne le conseguenze sia dai player che dagli addetti ai lavori. E non nascondo”, chiude Battista, “che ci sono ancora molti margini di miglioramento”.
In leggera controtendenza Fabio Cucciari, Ceo del team Reply Totem Esports, secondo il quale “l’esport in Italia è ancora agli albori. Sicuramente la pandemia ha velocizzato il processo di sensibilizzazione e di presa di coscienza del settore da parte di moltissime persone, soprattutto i genitori, ed è un passo avanti importantissimo per il nostro ecosistema, che vede nell’allargamento della community gaming un punto focale per la crescita delle aziende. L’avanzamento del nostro settore ha anche portato il Coni ad interessarsi di più al nostro settore, e questo non può che essere un bene a lungo termine per avere un ambiente che possa essere sostenibile per aziende e privati che vogliono investire. Una regolamentazione che porterebbe giovamento sia ai giocatori che avrebbero più opportunità e tutele, sia alle aziende che avranno più facilità e più supporto nell’organizzazione di eventi. Oggi si può vivere di Esport ma è necessario disporre di specifiche competenze ed essere mentalmente elastici, capaci di adattarsi, perché si tratta di un settore in continua evoluzione ed attento alle mutevoli esigenze dei più giovani”.
Pensa che il mondo degli esports sia evidentemente cambiato il presidente di una realtà ancora diversa, quella dell’Asd Sportivamente, che rappresenta la Carrarese Esports. “Ma è solo la punta dell’iceberg”, spiega. “Fare esports attualmente è un’attività lavorativa, ma per pochi. Ci sono ottime prospettive che lo diventi per molti, soprattutto per i players, ma perché questo succeda è fondamentale che gli esports entrino nell’elenco delle discipline riconosciute dal Coni, e a quanto pare dovremmo esserci. Questo passaggio è fondamentale per far si che i players possano essere ricompensati con compensi sportivi, come avviene, per fare un esempio, con i calciatori dilettanti”.
Che il settore stia crescendo e che ci sia “più consapevolezza riguardo alla figura del pro player o del talent” è invece il pensiero di una top player come Elena “Hevnokat” Coriale, la gamer di Fifa più forte in Italia, secondo la quale “da anni all’estero è un lavoro così come il pro player viene considerato un atleta, delle volte anche da un punto di vista normativo. In Italia se vai in giro a dire che sei una videogiocatrice professionista può purtroppo capitare di non essere “ben visti” per usare un eufemismo. Ci sono ancora alcuni stereotipi da superare, allo stesso tempo sono fiduciosa perché se ripenso anche alla mia personale carriera si sta migliorando di anno in anno”.
Questo nonostante la scena esports non sia più quella di qualche anno fa, come sottolinea anche Luca Pagano, Ceo di Qlash: “Sicuramente molto è cambiato e in senso positivo, l’industria esports sta crescendo, in particolare l’awareness. Ma non sento di dire che ad oggi in Italia gli esports sono una vera attività lavorativa: mancano molte competenze, ma soprattutto mancano regole e leggi chiare e a supporto degli esports. La regolamentazione è la base di ogni industria e credo, purtroppo, che in Italia siamo ancora molto lontani”.
“Sicuramente il settore si è professionalizzato negli ultimi due anni”, è il pensiero anche di Tommaso Maria Ricci, co-founder e Coo di Mces Italia. “A mio parere, tuttavia, non c’è ancora un’economia, e con questo intendo una circolazione di soldi sufficiente, per permettere una contrattualizzazione ai livelli di un mercato tradizionale. Penso che in Italia non ci sia ancora un’azienda legata agli esports che abbia più di 10 dipendenti, quindi non si parla ancora di un mercato né stabile, né maturo. È un mercato sicuramente in crescita, che sta migliorando, ma ci vuole ancora tempo”. La spinta decisiva, anche per il Coo di Mces, potrebbe venire dal Coni, perché “nel momento in cui il Coni deciderà di professionalizzare gli esports sotto forma di sport allora ci sarà un grande passo. In attesa che poi questo richiami in Italia investimenti esteri, spinga grandi brand a muovere importi economici maggiori di quelli che stanno investendo oggi nel mercato esports, che, ricordiamolo, è diverso dal mercato gaming”.
Un punto di vista ancora diverso ce lo fornisce Valerio Gallo, attualmente in forza alla scuderia Williams Esports: “L’esports deve continuare a crescere. Sicuramente la pandemia è stata la vetrina migliore per l’esports in generale, specie grazie ad alcuni atleti celebri che durante il lockdown hanno giocato online promuovendo il nostro mondo. Però, a mio parere non lo posso ancora considerare un lavoro a tutti gli effetti: ci sono moltissimi ragazzi talentuosi che meriterebbero il riconoscimento/la visibilità tale per farsi conoscere e sostenere la propria carriera di gamer agonistico, divisi tra gli impegni della scuola o del lavoro. Servirebbe infatti educare le famiglie all’esports, e convincerle che non si tratta semplicemente di giocare e basta. Per questo motivo, qui in Italia, desidererei ci fossero più eventi, più occasioni per metterci in mostra”.
“Son sincero”, continua il vincitore della Nations Cup 2021 di Gran Turismo, “ultimamente in Italia gli eventi stanno aumentando e sono abbastanza contento di questo. Ma potrei fare esempi migliori: negli Stati Uniti si sono formate leghe Esports nei College/Università, quindi c’è un’interesse fortissimo nel settore, ancor più facile intraprendere la carriera da gamer. Per cui, c’è chi già lavora nell’esports, ma solo quei pochi fortunati riescono. E personalmente credo che noi tutti abbiamo un futuro ed una passione da coltivare, seppur sia il nostro un mondo fittizio, ma in realtà fortemente seguito. Addirittura più seguito di alcuni sport veri. Alla base ci sono le skill dei giocatori che rendono i match ancor più spettacolari da vedere. Invito chiunque ad affrontarsi in una qualsiasi competizione online, grandi e piccoli, anche in compagnia di un gruppo/team. Tutti hanno la possibilità di diventare dei pro-players e cambiare la propria vita. Se non lo è tutt’ora, l’esports sarà ‘il’ lavoro della nuova generazione”.
Anche Lorenzo Saiu, player di Fifa che nell’ultimo torneo di eSerie A ha difeso i colori del Venezia, pensa che ci sia ancora abbastanza da fare, in Italia. “Con il boom dell’ultimo biennio, dovuto soprattutto alla pandemia e al lockdown, il nostro settore ha fatto notevoli passi in avanti. Purtroppo parlare di vero e proprio lavoro non è possibile in quanto, a seconda dei videogiochi, avere uno stipendio fisso è un lusso che in Italia per ora possono permettersi in pochi evidenziando moltissimo il gap che abbiamo con le altre nazioni. Posso dire in conclusione che il settore è sulla strada giusta e che senza ombra di dubbio l’esports professionistico è una realtà a cui non si può più chiudere la porta”.