La morte della Overwatch League è un male necessario per slegare lo sparatutto Blizzard dalle logiche Activision.
I team hanno accettato e gli accordi sono stati firmati: dopo cinque anni di competizioni, la Overwatch League cesserà di esistere entro la fine dell’anno e questa è un’ottima notizia. Overwatch è nato come uno dei più promettenti sparatutto competitivi di sempre, così competitivi che ha vinto il Game of The Year nel 2016. Le sue dinamiche strategiche che mescolano tattica abilità, gestione dei cooldown e movimenti di squadra sono state un magnete per i fan del genere che ancora oggi popolano il videogioco Blizzard.
Il peccato originale della sua scena esports, però, è stato cercare di imitare gli sport tradizionali e di essere motivata dall’avidità insaziabile della dirigenza Activision. Per chi non lo ricordasse, già in fase di beta Overwatch ha visto la nascita di competizioni, tornei, squadre e prodigi dal nulla, in modo assolutamente organico e con un successo di pubblico straordinario. Gli Outlaws (poi diventati la squadra di Huston) riuscivano a tenere decine di migliaia di persone incollate allo schermo quando giocavano.
Bobby Kotick, il malvagio CEO di Activision responsabile degli anni infernali che Overwatch ha passato tra il 2019 e il 2022, però, aveva altri piani. Visto il successo clamoroso dei primissimi esports del gioco, si è messo in testa di ricreare un sistema competitivo simile alla NFL o alla NBA con team cittadini ed eventi localizzati ed itineranti come quelli dello sport tradizionale. Il tutto, ovviamente, con un sistema in franchise dai costi esorbitanti e dai ritorni assolutamente incerti. Visti i numeri da capogiro, però, a molti investitori facoltosi è sembrata una buona idea investire cifre nell’ordine di 20 milioni di dollari per partecipare.
Il primo anno (il 2018) è partito in sordina limitandosi a una singola location a Los Angeles che, dopo un weekend inaugurale sold out e con centinaia di migliaia di spettatori online, non riusciva quasi mai a riempire i suoi posti a sedere con gli executive di Activision che regalavano i biglietti alle scolaresche per non far vedere un’arena vuota in diretta. Il 2019 doveva essere l’anno della svolta, degli homestand (le competizioni itineranti di città in città) e del decollo del formato come Activision l’aveva immaginato ma forse ricorderete anche voi cosa è successo nel gennaio del 2020.
La pandemia ha distrutto ogni speranza di far funzionare questo modello con pochi eventi che sono riusciti a decollare (noi avevamo tutto prenotato per vedere i Paris Eternal giocare in casa quando è stato cancellato tutto) e una tiepida accoglienza del formato. La Lega, poi, si è spostata online e oltre a venire a mancare il pubblico dal vivo, sono iniziati a venire a mancare anche i nuovi contenuti del gioco dopo che Blizzard ha annunciato Overwatch 2 (con tanto di campagna PvE ora estinta) spostando lì tutte le sue risorse di sviluppo.
Un gioco con sempre meno popolarità, delle competizioni esports solo online e un meta poco divertente da vedere hanno affossato lentamente la competizione mantenendo nell’ombra l’intero circuito sottostante dei Contenders che, in quanto open, riusciva a iniettare un po’ freschezza nel gioco e nelle partite. L’uscita del sequel, dopo un’iniziale resurrezione della viewership, non è servita a fermare l’emorragia di giocatori e appassionati e, visto che i ritorni sul mostruoso investimento iniziale non sono mai arrivati, è naturale che i team della League abbiano votato per terminare le operazioni e ricevere 6 milioni di dollari di risarcimento per chiudere bottega.
Gli esports di Overwatch, tuttavia, sono tutt’altro che morti. “Stiamo passando dalla Overwatch League a un nuovo formato gestito da terze parti” hanno detto gli organizzatori poco dopo l’annuncio del voto. “Siamo grati a tutti coloro che hanno reso possibile la OWL e rimaniamo concentrati sulla costruzione della nostra visione di un programma di esports rivitalizzato. Siamo entusiasti di condividere i dettagli con tutti voi nel prossimo futuro”. Questa notizia ci riempie di speranza perché, sperando che gli astri si allineino, possiamo sperare in un sistema open che premi il merito, non i budget stratosferici.
Ora Overwatch, insieme alla Blizzard, è di proprietà della Microsoft il cui capo della sezione gaming, Phil Spencer, è noto per un approccio estremamente laissez faire e fiducioso nelle potenzialità degli studi sotto il suo ombrello. Blizzard è una fucina in continua ebollizione a cui Activision ha tarpato le ali nel nome del profitto negli ultimi anni con ogni decisione che doveva passare attraverso decine di approvazioni e modifiche prima di andare avanti. Il CEO della Blizzard Mike Ybarra, proprio parlando di questa lentezza pachidermica e conservatrice, si è già detto entusiasta delle libertà che la nuova amministrazione ha promesso.
I giocatori ci sono, i numeri su Twitch anche. C’è il talento tra i caster, gli analisti e i professionisti, e il gioco continua ad avere bei numeri: 25 milioni di player attivi mensilmente secondo Activeplayer. Manca solo un sistema competitivo che dia a chi ha investito anni di sudore e pratica uno sbocco professionale, manca una struttura capillare in Asia, America, Europa e Medioriente (l’Arabia Saudita ha vinto gli ultimi mondiali) e manca una visione organizzativa per tornare alle radici comunitarie e frenetiche del lancio dello Sparatutto Blizzard che ha saputo incantare una generazione di appassionati. Date a Overwatch un sistema competitivo open e meritocratico, i numeri arriveranno da soli.