Abbiamo provato in anteprima i primi due capitoli di Final Fantasy 7 Rebirth e ne siamo usciti tanto emozionati quanto scontenti.
Final Fantasy 7 è un mostro sacro della storia del gaming. Un titolo così amato che è singolarmente responsabile della passione videoludica di milioni di persone nel mondo. Il primo remake ha dato il via a una rinascita che con il secondo capitolo, Rebirth, continua senza, però, ripercorrere esattamente il solco lasciato dall’originale. Al suo posto c’è una nuova struttura di gioco basata sul sistema open world che, dobbiamo dirlo, ci ha lasciato un po’ perplessi, principalmente a causa della sua vuotezza, ma andiamo con ordine.
Durante la nostra anteprima abbiamo provato i primi due capitoli del gioco, uno su binari ed estremamente narrativo, il secondo che introduce al sistema a mondo aperto. Nel primo abbiamo rivissuto il momento all’origine del conflitto tra Cloud e Sephiroth che, senza fare spoiler, si appresta a vestire i panni di antagonista principale del gioco. Questo capitolo ci ha lasciato un grande sorriso sul volto perché ha reintrodotto il famoso cast di personaggi che abbiamo imparato ad amare: Cloud, Aerith, Tifa e Barrett. Dopo una breve sequenza di introduzione, infatti, Cloud racconta in un flashback del viaggio fatto cinque anni prima nella sua città natale che ospita un reattore attorno a cui ruotano diversi misteri.
Nonostante alcuni punti in cui il flusso di gioco rallenta in modo considerevole, questo primo capitolo fortemente narrativo ha un discreto impatto e, una volta terminato, ci ha lasciato con una curiosità bruciante su come sarebbe andata avanti questa versione rivisitata di una storia che tanto abbiamo amato in passato. Nel secondo capitolo, dopo che ci è stato presentato il sistema di gestione del party, delle armi e degli alberi delle abilità tipico del genere, siamo stati introdotti all’open world e i problemi sono iniziati ad arrivare.
La prima cosa che ci ha fatto storcere il naso è stata la vuotezza di questo mondo aperto, pochi alberi (bellissimi eh, ma restano alberi) qualche roccia e una manciata di punti di interesse. Dopo la missione per ottenere il Chokobo abbiamo appreso con orrore che saremmo dovuti andare alla ricerca di alcune torri di sorveglianza per identificare i punti di interesse e le side quest disponibili in quella porzione di mappa. Non bastava che il mondo aperto fosse spoglio, ad aggiungere il danno alla beffa ci ha pensato un sistema di esplorazione datato di cui avremmo fatto così volentieri a meno.
Abbiamo esplorato un po’ e siamo rimasti non delusi ma nemmeno stupiti dalle attività secondarie che più che aggiungere valore all’esperienza sembrano messe lì per alzare il numero delle ore di gioco. Ottenuto il Chokobo siamo riusciti a progredire con la storia principale per raggiungere il primo boss del gioco, un serpentone cattivissimo, dove abbiamo sperimentato a fondo con il sistema di combattimento. Come nella nostra ultima anteprima, siamo rimasti davvero stupiti dall’ibrido tra combattimento in tempo reale e sistema di gestione delle abilità a turni adottato dagli sviluppatori di Square Enix che resta il punto forte di questo gioco.
Dopo tre tentativi siamo riusciti a liberarci del boss sfruttando gli attacchi di Cloud, le mosse speciali di Red XIII e le abilità curative di Aerith in modo da evitare di finire al tappeto. Solo dal secondo tentativo in poi ci siamo ricordati di usare gli oggetti che, ora più che mai, sono fondamentali per avere successo in battaglia. É possibile ottenerli usando il sistema di crafting o acquistandoli, in entrambi i casi dovrete avere a che fare con le risorse dell’open world.
Sconfitto il boss, la nostra demo è terminata e abbiamo tratto le nostre prime conclusioni. Se dal punto di vista narrativo il gioco ha tantissimo potenziale visto il materiale originario, siamo decisamente preoccupati per l’open world che, allo stato attuale e nei biomi che abbiamo esplorato, si prospetta vuoto e poco ispirato. Un’altra nota di demerito riguarda la scrittura delle due protagoniste femminili che vengono rappresentate in modo infantile, ingenuo e servile nei confronti del protagonista. Se c’era la possibilità di intervenire così tanto a livello narrativo, allora doveva esserci l’opportunità di portare due eroine iconiche come Tifa e Aerith nel 2024 a livello di caratterizzazione e personalità.
In conclusione, se da un lato c’è molto potenziale narrativo e gli sviluppatori hanno dimostrato di saper costruire tensione, dall’altro temiamo per la quantità di ore che saremo costretti a passare andando a cercare le torri e facendo attività secondarie poco ispirate in un open world spoglio e privo di personalità. Ora non resta che attendere l’uscita per capire quali decisioni sono state prese da Square Enix nel gestire un titolo così amato e così importante per tanti videogiocatori.